Il disturbo alimentare

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Una sofferenza impossibile a dirsi

Il corpo è il supporto materiale su cui si scrive la storia di una persona. È ciò che di più proprio e intimo il soggetto abbia; tuttavia, al contempo, alcune volte non si capisce bene cosa succeda nel proprio corpo, che risulta così estraneo. Il corpo cresce, cambia, si trasforma, portando con sé le tracce psicologiche e fisiche di quanto accaduto nella nostra esistenza, di ciò che incontriamo nella vita.

Il corpo può, così, diventare un mezzo di espressione della propria sofferenza, come nei disturbi alimentari. Il disturbo alimentare è una sorta di auto-cura, un modo per far fronte ad una fortissima

angoscia che spesso deriva dall’incontro con il contesto sociale (genitoriale, familiare, amicale, scolastico, ecc.) percepito come minaccioso, invadente, iper-presente o totalmente assente, e dall’incontro con sé stessi, con il proprio essere, con il proprio corpo che cambia; incontri che, molto spesso, sono traumatici. Se inizialmente il costruire un certo rapporto con il cibo sembra una soluzione, diventa poi una condanna a cui non ci si riesce a sottrarre. Gli altri vengono allontanati, rifiutati, le relazioni sono interrotte. Resta solo il rapporto, ossessionante, con il cibo; è tuttavia il tipo di rapporto che si intrattiene con il mondo, con il contesto in cui si vive, ad essere in questione.

In chi soffre di un disturbo alimentare il corpo diventa l’unico mezzo di espressione della propria sofferenza, al posto della parola. Sembra assente un collegamento tra il fisico e lo psichico, in una sorta di cortocircuito. “Non mangio solo perché voglio essere magra”, “Ho paura di ingrassare”, “Se mangio anche solo pochi grammi in più, di sicuro non riuscirò a fermarmi e prenderò un sacco di chili”: cosa c’è dietro ad affermazioni come queste che sembrano riferite solo al fisico? Da dove vengono?

La cura è un modo per creare un ponte tra queste due dimensioni tenute separate. Spesso ciò che viene mostrato è solo la punta dell’iceberg, l’immagine che si vorrebbe avere, che si vuole dare e che si vorrebbe venisse vista dagli altri, che tuttavia nasconde o vela il dolore, la difficoltà e l’angoscia che la relazione con l’altro comporta. Spesso, infatti, è complicato parlare di ciò che fa star male; esistono sofferenze così pesanti e difficili che risultano inesprimibili a parole, impossibili a dirsi: è allora il corpo a parlare, portavoce di un disagio profondo.

Attraverso un percorso di cura si possono trovare vie più vitali per esprimersi, per esistere. Non si tratta, nella cura, di correggere il sintomo o obbligare la persona a mangiare o meno. Non si guarirà

semplicemente aumentando di peso o perdendolo, o obbligandosi a mangiare diversamente. La cura costituisce, piuttosto, un luogo dove poter iniziare a prendere consapevolezza della questione

alimentare, del rapporto con il proprio corpo; un luogo dove poter prendere parola e produrre un dire che permetta di collegare il corpo con la sofferenza psichica di cui esso è il mezzo di espressione.

Si può tentare di attraversare e interrogare il dolore e l’angoscia per capire da dove vengano, da cosa siano causati, provando a ripartire proprio da lì per trovare nuove soluzioni.

Guarire è possibile, e si comincerà a farlo provando a domandarsi qualcosa sui rapporti e sulle relazioni che si hanno con gli amici, con la famiglia, con la scuola e con se stessi, iniziando a chiedersi

in che modo li si viva o li si metta in atto, che punti scoperti tocchino, che difficoltà portino; tali sono

le questioni che un sintomo alimentare copre e tiene nascoste, in una sorta di auto-difesa.

Mi è capitato di ascoltare, in alcune persone che soffrono di un disturbo alimentare, frasi come: “Se

fallisco cosa penseranno gli altri?”, “Non posso sbagliare perché mi scoprirei vulnerabile”, che dicono come e quanto una persona possa essere e sentirsi presa nelle aspettative e nel desiderio dell’Altro (genitoriale, familiare, amicale, scolastico, ecc.), Altro a cui suppone, per diversi motivi, di non poter mostrare la propria fragilità. È importante capire come poter avere a che fare con tali difficoltà piuttosto che isolarsi, sottrarsi o chiudersi in sé stessi. Lo spazio di cura è il posto giusto, in tal senso, per interrogarsi su questo e per provare a trovare un altro modo di vivere che includa ciò che il soggetto vuole, al di là di ciò che pensa che gli altri vogliano da o per lui; lo spazio di cura può così permettere il fiorire di qualcosa di inatteso, di non saputo, di nuovo.

Dott.ssa Chiara Cecchetti
Psicoterapeuta FOOD FOR MIND Mestre Venezia
Centro per la Cura dei Disturbi Alimentari

Food For Mind Mestre Venezia – Centro per la Cura dei Disturbi Alimentari
via Einaudi, 15 Mestre (VE)
Tel. 333/4722517
venezia@foodmind.it
Siamo a disposizione, gratuitamente e con riservatezza, di ragazzi e genitori per consigli, dubbi ed informazioni.

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