Destinazione Afghanistan con Emergency

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6 mesi con Emergency: vita, storie e segni indelebili
Esperienze che cambiano la vita: viaggi, conoscenze e fatti destinati ad essere portati per sempre dentro di sé, trasformano chi le ha vissute influenzando il suo modo di pensare e di vedere le cose.
Questo è ciò che ha vissuto Giancarlo, ex studente dell’ITC Luzzatti, 27 anni e la decisione di lasciare in stand-by un lavoro importante e soddisfacente per vivere un’esperienza lontana anni luce dalla routine trevigiana: 6 mesi in Afghanistan in qualità  di collaboratore di Emergency, una delle più conosciute Organizzazioni Non Governative italiane, fondata nel 1994 ed operativa in Afghanistan, Cambogia, Iraq, Sierra Leone, Sudan e, in un futuro prossimo, Nicaragua.
Prima dell’attività  in Afghanistan eri già  impegnato nel sociale?
Si, ho partecipato ad un campo di volontariato in Romania presso l’orfanotrofio di Bucarest gestito dalle Suore di Madre Teresa di Calcutta e ho prestato servizio per cinque anni con la Croce Rossa Italiana in qualità di volontario del soccorso.
Come è nata l’idea di una simile esperienza e perché Emergency?
Tutto è nato dalla volontà  di vivere un’esperienza più forte nel mondo del sociale, nella quale potermi mettere in gioco e capire i miei limiti. La scelta è ricaduta su Emergency in quanto ho sempre stimato ed apprezzato la loro opera nel mondo, pur non conoscendo nel dettaglio il loro modo di agire; la vera e propria folgorazione è arrivata con la lettura dei due libri scritti da Gino Strada (chirurgo fondatore di Emergency – ndr) “Pappagalli verdi” e “Buskashi”.
Come sei entrato in contatto con Emergency?
Il primo contatto è stato semplicemente la visita del loro sito internet. L’obiettivo era capire se i requisiti richiesti ai possibili cooperanti fossero solamente di carattere medico sanitario o meno. Con mia grande sorpresa le figure ricercate erano per la maggior parte non sanitarie, spaziavano infatti da amministratori, logisti, tecnici manutentori, ecc. ho così deciso di fare il grande passo inviando il mio curriculum.
Dopo alcuni mesi sono stato contattato dal personale di Emergency, ho sostenuto tre colloqui conoscitivi dopo i quali ho ricevuto l’idoneità  per la partenza.
L’Afghanistan è stata una tua scelta o ti è stata indicata dal personale di Emergency? E quale incarico ti è stato affidato?
Nel periodo nel quale sono entrato in contatto con loro c’era necessità  di personale in Afghanistan per cui sono stato assegnato a quella missione con la mansione di amministratore e logista.
Che immagine avevi dell’Afghanistan e del popolo afghano prima della tua partenza?
Ne sapevo ben poco, non avevo idea né dell’effettiva situazione politica né degli usi e costumi degli afgani. Avevo provato ad informarmi con libri e internet per crearmi un’immagine di ciò che avrei trovato, ma arrivato lì, la realtà si è rivelata inimmaginabile per un occidentale.
Com’è stato il primo impatto e quali le prime sensazioni una volta giunto sul posto?
E’ stato quello di un paese sofferente, di una città, Kabul, molto povera e devastata da anni di guerre continue. Per le strade si vedevano costantemente soldati e mezzi blindati e, a confermare il duro impatto, dopo tre giorni dal mio arrivo c’è stato un attentato ed ho così potuto assistere al primo afflusso di massa in ospedale. Non è stato affatto un inizio semplice, mi è servito un mese per ambientarmi al luogo, alle abitudini, alla situazione di lavoro.
A livello pratico in cosa consisteva il tuo compito?
In qualità  di amministratore mi occupavo di suddividere i fondi provenienti dalle donazioni che da Milano mi venivano comunicati mensilmente, destinandoli ai 3 ospedali e alle 25 cliniche sparse nel paese in base alle esigenze di ognuna, dando la precedenza alle necessità di tipo sanitario (medicinali, apparecchiature medico-chirurgiche, materiale di consumo…) senza dimenticare la manutenzione e la pulizia delle strutture.
Quotidianamente trattavo con fornitori locali o Pakistani per ottenere preventivi a prezzi convenienti per gli acquisti di tutto il necessario per il funzionamento delle cliniche, sperimentando così le trattative “afghane” seduti in cerchio a terra sorseggiando thè.
Un altro mio incarico era quello di mantenere i rapporti con le istituzioni: Ministero della Sanità e Ministero degli Interni afghani ed Ambasciata Italiana.
Settimanalmente mi spostavo per raggiungere le diverse cliniche ed ospedali per effettuare controlli sull’effettivo buon funzionamento.
Come sono stati i rapporti umani con l’altro personale di Emergency?
Un’esperienza di questo tipo ti permette di legare molto con le persone che condividono le tue stesse situazioni creando dei rapporti di amicizia profonda e sincera, conoscendo quindi persone provenienti da tutto il mondo con le quali sono tuttora in contatto.
E con gli afgani?
Nonostante la diversità culturale ho avuto modo di stringere alcune amicizie con ragazzi locali avendo quindi la possibilità di confrontarmi con loro su diversi piani: dalla vita quotidiana ai progetti di vita, alla religione.
Hai incontrato Gino Strada?
Si, è rimasto per venti giorni a Kabul proprio nel periodo conclusivo della mia missione quando ero ormai padrone dei miei compiti. Per me è stata la classica ciliegina sulla torta, un incontro importante che mi ha permesso di conoscere da vicino colui che aveva fatto scattare in me, attraverso i suoi ideali, la voglia di partire.
Che opinione ti sei fatto dell’opera di Emergency vivendola in prima persona?
E’ un’opera fondamentale perché è l’unica struttura che offre una sanità di alto livello completamente gratuita in territori dove le condizioni economiche sono disastrose e per questo viene rispettata da tutte le diverse etnie e sempre considerata al di sopra delle parti.
Ti sei mai sentito in pericolo durante la tua permanenza in Afghanistan?
Il livello di attenzione da parte di tutto il personale era sempre alto e molte le precauzioni, non mi sono mai sentito realmente in pericolo; certamente le situazioni erano particolari e molto distanti da realtà  alle quali siamo abituati.
La tua opinione sul popolo afghano ne è uscita modificata? E l’immagine della situazione di vita dell’Afghanistan propostaci dai media corrisponde a verità?
Sono giunto a rivalutare l’immagine distorta che ci viene propinata dell’afghano medio, spesso etichettato come terrorista e talebano. E’ necessario distinguere: vicino ad un’esigua minoranza di talebani esiste la popolazione civile, persone costrette ad una vita di povertà  e miseria, spesso ignare delle motivazioni della guerra che si combatte sul loro territorio.
Cosa ti ha insegnato e cosa ti resterà di quest’esperienza di vita?
Senza retorica è un’esperienza che mi ha segnato profondamente ridisegnando la mia scala di valori e facendomi vedere le cose con un’ottica completamente diversa rispetto a prima, arrivando a rifiutare determinati stili di vita consumistici e modificando il mio stesso modo di vivere.
La consiglieresti ad altre persone? E con quali avvertenze?
L’importante è sapere che si va incontro a forti e profondi cambiamenti non sempre di facile e immediata metabolizzazione, si è comunque rivelata la più bella, appagante ed appassionante esperienza della mia vita quindi… certamente sì, la consiglierei!
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