La guerra ci interroga

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Visita alla mostra “La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata!”

Noi studenti della classe 3C del liceo “Duca degli Abruzzi” – indirizzo Scienze Umane ci siamo recati nella prima settimana di scuola a visitare la mostra “La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata!” alle Gallerie delle Prigioni di Treviso.

Questo è un luogo molto suggestivo: anche se tinteggiato di bianco, colore luminoso e immacolato, rivela caratteristiche che ci ricordano la sua originaria destinazione, come ad esempio porte, scritte che indicano la funzione dei vari ambienti e inferriate alle finestre, peculiari dell’ambiente carcerario.

Proprio questo luogo è stato scelto come sede per un’esposizione che tratta tematiche di guerra in modo del tutto originale e fuori dalle proposte comuni: fotomontaggi, scritte a neon, quadri che sembravano bandiere e molto altro ancora. Tutte le opere che abbiamo osservato e su cui, insieme alle professoresse, abbiamo ragionato per capirne l’intento e il messaggio, sono state una vera e propria sorpresa, in quanto esse volevano esprimere il più delle volte lo stesso concetto, ma in modi totalmente diversi, con un impatto completamente differente tra loro.

Tra quelle che ci hanno maggiormente colpiti vi erano i quadri di Eteri Chkadua, artista georgiana, che presenta opere che parlano di nostalgia e memoria attraverso le tecniche classiche della pittura. È riuscita a intrecciare immagini di guerra immerse in scene di quotidianità che simboleggiano l’incombente presenza dello spettro delle battaglie nella vita di tutti i giorni. Nell’opera “In Black” vengono dipinti un fucile su una tavola imbandita di dolciumi e l’autoritratto dell’artista in un abito nero. Chkadua si rifà alla tradizione dell’ormotsi, pranzo che si celebra quaranta giorni dopo un funerale e che sancisce la fine del lutto familiare. La domanda che più ci è sorta spontanea è stata: “Perché in una tavola riccamente imbandita, simbolo di festa, viene rappresentata un’arma, simbolo di morte?” Forse per spiegare la “guerra interiore” della donna di fronte ad un lutto che nella realtà non è ancora stato superato?

Ci hanno colpito le opere concettuali che a prima vista possono risultare strane, ma che in realtà trasmettono un forte messaggio. Un esempio può essere l’opera di Martha Rosler “House Beautiful: Bringing the War Home” in cui l’artista colloca in contesti di guerra modelli e modelle che sfilano con i loro capi impeccabili. Ciò ci fa ragionare sul loro messaggio, trasmesso con modalità che vogliono quasi “incollare” gli occhi degli spettatori, non permettendo loro di scivolare indifferenti sull’opera successiva.

Quando una guerra finisce, comincia un tempo lungo, che non sempre corrisponde ad una pace reale e durevole, un periodo indeterminato e a volte interminabile, che spesso viene dimenticato da chi si occupa della divulgazione mediatica e archiviato anche da quelli che – come noi – vivono giornalmente in un’esistenza pacifica.

Dunque possiamo concludere, al termine di questo istruttivo viaggio tra emozioni contrastanti, che l’esposizione è in grado di avvicinare non solo ragazzi ma anche adulti, a temi apparentemente lontani dal nostro quotidiano sentire, ma di fronte ai quali è bene non smettere mai di farsi domande e di cercare risposte nella nostra essenza comune.

 Classe 3C Scienze Umane – Duca degli Abruzzi

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