La giustizia riparativa nelle scuole dell’infanzia

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Sad little girl stands against pink wall, looks at camera. Cute kid wears rose t shirt, has two fanny poni tails with many colourful scrunchies, looks hurt with pouty lips. Upset child on playground.

Una proposta operativa

E’ il momento del circle time: tutti i bimbi seduti in cerchio, si pone all’attenzione del gruppo un fatto accaduto stamattina. Giulia ha risposto con un forte pizzicotto alla provocazione di Carla, la quale piangendo dal dolore, si è rivolta alla maestra chiedendo giustizia. Ma è proprio vero che Giulia sia l’unico aggressore e debba essere punita o isolata dal gruppo, mentre Carla è soltanto una vittima, ma soprattutto è giusto che voglia vedere soffrire a sua volta Giulia, è vero che dopo starà meglio?

Ogni giorno ci troviamo di fronte a casi simili e sarebbe più semplice ma anche banale elargire punizioni senza riconoscere il punto di vista delle due parti. Per la soluzione del conflitto è innanzitutto essenziale cambiare la prospettiva dal concetto di “colpa” al concetto di “cura” che si ricollega alla responsabilità del soggetto. Infatti nel momento in cui si colpevolizza, si sta giudicando e quando si esprimono giudizi di condanna, si attribuisce un’etichetta negativa (STIGMA) quasi irreversibile agli occhi dei compagni, ma soprattutto si provoca una distorsione dell’immagine di sé e un danno all’autostima. Questo marchio è come un tatuaggio indelebile per Giulia, perchè sottolinea il suo essere “sbagliata”, non tanto la sua inadeguatezza al contesto. In realtà è la sua azione circoscritta di quel preciso momento ad essere sbagliata, a causa di eventi antecedenti scatenanti (è stata offesa/provocata).

“La persona non è la sua colpa” viene sottolineato durante il convegno dell’associazione Nessuno tocchi Caino, (28/04/22) questo il messaggio che sarebbe ideale respirare fin dalla prima infanzia. L’essere umano possiede molte sfaccettature, emozioni, potenzialità può incorrere nel fallimento e nell’errore ma non coincide col suo errore. Da qui il riscatto sociale e la giustizia riparativa.

L’urgenza diventa quella di aiutare la vittima a superare il rancore per andare oltre la volontà di vendetta, ogni volta che subisce un torto: come fare se tutti vogliamo giustizia attraverso un capro espiatorio da condannare?

La chiave di questo cambiamento di mentalità sociale, oltre all’imitazione di esempi familiari positivi, è proprio quel circle time nelle scuole, quel dialogo dei bambini/ragazzi futuri adulti con il mediatore di conflitti (in questo caso l’insegnante) che conduce il colloquio facendo emergere i diversi punti di vista.

La comunità è messa di fronte al fatto ingiusto e passo dopo passo chiarisce le motivazioni delle due bambine nel caso specifico. Il primo step è prendere consapevolezza che chiunque provochi il dolore altrui con premeditata volontà di fare un danno, chieda scusa e manifesti reale pentimento facendolo immedesimare nella vittima. Educare alla capacità empatica è condizione indispensabile per realizzare un atto di giustizia incentrata sulla responsabilità (che significa proprio “rispondere delle mie azioni”).

La vittima, che comunque è parte integrante di questa relazione conflittuale, sarà portata a comprendere di aver contribuito a mettere in atto uno scambio disfunzionale con la compagna, offesa verbalmente. Anche le parole possono essere armi pericolose alla pari di azioni aggressive come calci, pizzicotti e schiaffi. E’possibile rendere riconoscibili queste parole “freccia” associandole ad un’emozione negativa che esse provocano: disagio, tristezza, offesa, inadeguatezza, senso di abbandono, fino ad arrivare alla rabbia provata da Giulia che sfocia nell’aggressione di Carla. Nei bambini più piccoli si possono visualizzare questi sentimenti negativi, anche complessi, associandoli a cartellini con immagini, oppure oggetti che li richiamano, tra i quali i bimbi possono scegliere quelli che descrivono meglio come si sono sentiti e con quale intensità. Ad esempio il fuoco oppure un fulmine (immagine piccola, media, grande) richiamerà il bruciore della ferita fisica ma anche interiore, nel caso di parole, frasi offensive. Molto utile anche l’associazione con gli eventi atmosferici: tristezza=pioggia/temporale; freddo. Quando le due bambine avranno scelto i loro cartellini, tutti gli altri compagni potranno avere un riferimento più oggettivo per valutare l’accaduto e sottolineare che anche Carla dovrà scusarsi per aver ferito Giulia.

In un secondo momento, nel salone, le due giocheranno di nuovo senza rancore perché, per fortuna, nei bambini la “nostalgia della relazione” è più forte dell’istinto di ferire e colpire… anche perché in realtà quest’ultimo non è innato ma appreso per imitazione da adulti, fratelli maggiori e modelli televisivi/digitali altamente diseducativi. Albert Bandura, noto psicologo dell’apprendimento sociale, ce lo dimostra molto bene col suo esperimento delle Bobo Dolls: i bambini imparano modalità di gioco distruttive, mai eseguite fino a quel momento, dopo la visione di scene violente di un adulto che compie quelle precise azioni (ovvero percosse ad una bambola gonfiabile).

 La complessità della tematica non vuole assolutamente essere esaustiva attraverso questa proposta, ma rappresenta un piccolo contributo a livello scolastico in linea con una nuova prospettiva etica e giuridica promossa dall’associazione sopracitata e anche dall’associazione “La voce” per la mediazione dei conflitti. (Nasce nel 2008 con l’obbiettivo di contribuire al processo di umanizzazione della società, a partire dalla piccola realtà territoriale, attraverso lo strumento della mediazione umanistica per diffondere la cultura della pace).

Proff. Isabella Silvestri e Marignani avv. Enrico
Soci dell’Associazione Nessuno tocchi Caino

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