Di cosa hanno bisogno i miei studenti?

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Parte da questo interrogativo un progetto che le professoresse Silvia Canal e Annalisa Dossini del liceo Duca degli Abruzzi conducono da anni nelle loro classi. La domanda trova risposta in un laboratorio di scrittura autobiografica che, senza seguire le sirene della modernità presunta, del digitale, delle mode pedagogiche che spesso non aggiungono e talvolta tolgono, usa strumenti semplici: carta, penna, colla, forbici e naturalmente libri (romanzi, poesie) ma anche canzoni per dare voce al vissuto di ciascuno.

“L’autobiografia è per noi la via verso la ricerca individuale ma anche una attività che genera pensiero, concetti, visioni del mondo; ogni autobiografia infatti è filosofia perché interroga il senso; è storia in quanto memoria e testimonianza; è educazione all’alterità perché nell’attività didattica si ascoltano anche le storie altrui; è psicoterapia perché aiuta ad esplorarsi e a capirsi, attività essenziale soprattutto per il sé emergente di un adolescente; è letteratura perché espressa in modalità variate, anche poetiche, con una frequentazione della parola che ci rende sempre più competenti nel lessico, nella forma, nella struttura.

Con la scrittura autobiografica, che nell’attività didattica si accompagna con spunti di lettura, aiutiamo gli studenti a ritrovare il senso della propria vita, a crearsi una identità, a cercare una intimità con sé stessi, li abituiamo a pensare meno superficialmente, ad appassionarsi alle storie, proprie e non” spiegano Canal e Dossini che a settembre hanno deciso di condividere il loro lavoro e la loro esperienza dando vita a un corso di scrittura autobiografica per formare loro colleghi che possano portare nelle proprie classi questo potente strumento di autoconoscenza.

“Che fortuna insegnare poesia!” continuano le insegnanti. “Mentre i colleghi di altre discipline devono ritagliarsi spazi angusti di dialogo, noi abbiamo il supporto degli scrittori, dei poeti, delle parole significative da donare… Possiamo leggere un brano, una lirica e partire dalle parole altrui per arrivare alle parole nostre. Noi abbiamo una disciplina peculiare che ci mette in contatto con l’identità della persona e ci permette di creare relazione vera: che cittadino avremo se non conosce la sua identità, se non è libero di pensare e dunque scegliere, chi potrà incontrare se non conosce sé stesso? Come si prende cura degli altri e del pianeta chi non si prende cura di sé? Una lettura, la storia di un compagno ti può scuotere, è un’arma contro la paura e il dolore, ha potere protettivo perché ti fa sperimentare la fragilità e l’errore di ognuno. Spesso stimola la solidarietà tra compagni e aumenta il senso di autoefficacia; la scrittura autobiografica infatti non prevede valutazione e richiede espressamente sospensione del giudizio: lo studente così si trova in uno spazio libero dove sentirsi riconosciuto, rispettato, confermato.” Si scrive, quindi, senza timore di voti e giudizi che in questo caso non arriveranno, liberamente, a partire da uno stimolo, e poi chi vuole condivide con gli altri quanto ha scritto.

“È necessario farne esperienza in prima persona” spiegano ancora Dossini e Canal, “a cominciare dal fatto che se per noi adulti scrittura e lettura non sono vitali, non sono il punto di riferimento quando nella vita siamo in difficoltà, non potranno esserlo nemmeno per i nostri studenti”. Ecco quindi la proposta del corso a cui hanno aderito con entusiasmo 12 docenti che a breve potranno quindi portare nelle loro classi quanto appreso e sperimentato.

Ma gli studenti cosa pensano di questa proposta?

“Mentre scrivevamo sul nostro quaderno costeggiando il fiume, ascoltavo tutti i minimi rumori; e mi sono lasciata sprofondare nella purezza del semplicemente essere” scrive Camilla dopo un’uscita nel parco del Sile con percorso di scrittura poetica.

“Ogni volta che facciamo poesia e scrittura mi sento libera di poter scrivere i pensieri e le emozioni che provo in quei specifici momenti, come se mi stessi sfogando con qualcuno; poi mi accorgo che in realtà quel qualcuno sono proprio io. Ogni tanto rileggo quello che scrivo, e questo mi aiuta a conoscere un po’ di più me stessa, perché mi rendo conto che spesso non mi soffermo ad ascoltarmi e a capirmi” afferma Sara.

Giulia invece dopo un esercizio di scrittura commenta: “le parole mi venivano con tale spontaneità che sembrava che alcune frasi le sapessi a memoria. Questa è stata una sensazione fantastica perché mi sono sentita molto consapevole di me stessa, mi sono sentita come se avessi pieno controllo dei miei pensieri, delle mie emozioni e sensazioni, e ciò non avviene quasi mai; infatti la maggior parte delle volte in cui mi ritrovo a dover fare una scelta o a dover capire ciò che sento sono molto incerta e confusa e tengo tutto nascosto dentro di me.”

Molti studenti testimoniano che la scrittura autobiografica e la condivisione con i propri compagni li ha fatti sentire meno soli e ha permesso di apprezzare aspetti di sé e degli altri che prima non conoscevano. Insomma, concludono, un’esperienza da provare.

QUELLA VOLTA CHE SONO STATO SOTTO UN ALBERO

Ero lì, sdraiata sotto il mio albero preferito (Marta), mi sentivo a casa (Camilla); è stato uno dei pochi istanti in cui sono riuscita a liberare la mia mente (Beatrice), a lasciare libera l’anima (Giulia), non avevo fretta e potevo fermarmi un minuto ancora a respirare (Elena). Stavo lì seduta e continuavo a pensare (Caterina), udivo un uccellino saltare, mi distraeva dai miei pensieri, così come il fruscio delle foglie mosse dal vento (Laura); i rami, grandi e imponenti, mi sembravano delle braccia pronte a tenerti su e consolarti (Eleonora), a volte arrivavano a sfiorarmi (Chiara), così iniziai a chiacchierare come se l’albero fosse un amico a cui raccontare i miei sogni (Sofia): un sogno può davvero specchiare la realtà? (Francesca)

Quegli alberi sembravano una barriera che separava il nostro mondo da un piccolo spazio tranquillo (Stefano), le foglie si muovevano piano, con un fruscio che quasi sovrastava la musica che intanto scorreva nelle mie cuffiette (Viola), ero seduto da solo perché non ero, e non lo sono neanche ora, capace di stare con gli altri (Giovanni). Invece io ero proprio sotto un albero, in realtà ero sotto due alberi: stavo giocando a calcio, facevo il portiere (Luca), eravamo noi tre e gli alberi (Maddalena), per quanto improbabile la nostra promessa era un giuramento sull’albero (Dea).

Viene spontaneo pensare a quante persone, situazioni, incontri diversi siano transitati intorno ad esso (Rebecca), e io sento di far parte di un “quadro” più grande in cui è la natura a farla da padrona e mi sento in pace con il mondo intero (Gaia).

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