Il disastro del Vajont

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Una memoria da tramandare

Gli studenti del Max Planck ne parlano con Antonio Bortoluzzi, autore del libro “Il saldatore del Vajont”.

A pochi mesi dalla commemorazione del sessantesimo anniversario del disastro del Vajont continua l’impegno della scuola Max Planck a tenere viva la memoria delle vittime, delle responsabilità e degli errori che portarono alla tragedia del 9 ottobre 1963. Dopo la giornata di Il Venetolegge dedicata ai racconti che i ragazzi hanno scritto sul Vajont, è intervenuto nei giorni scorsi, nell’ambito del Progetto Lettura, lo scrittore bellunese Antonio Bortoluzzi per parlare del suo libro “Il saldatore del Vajont”, un romanzo-reportage che descrive una visita sui luoghi della diga intrecciandoli con i ricordi della sua giovinezza nella vallata dell’Alpago, memorie di famiglia e di paese. Ne parla Noela Luci della classe 1 A Liceo.

La scuola “Max Planck” ha dato l’occasione a noi studenti delle classi prime Itis e Liceo di saperne di più rispetto ad un importante e tragico evento: il disastro della diga del Vajont. Lo ha fatto proponendoci la lettura del libro “Il saldatore del Vajont” e dandoci l’occasione di incontrare l’autore Antonio Bortoluzzi. Una volta letto il libro, siamo arrivati preparati e con molti interrogativi all’incontro con l’autore che ha tenuto nel corso di una mattinata a scuola due incontri in aula magna con un totale di sette classi. La presentazione di apertura è stata curata dagli studenti che hanno esposto le loro riflessioni e hanno proiettato immagini e slides. Antonio Bortoluzzi ha subito sottolineato l’importanza di prendersi le proprie responsabilità. La frana del Toc, che ha provocato la catastrofe, era nota, c’era tutto il tempo per far evacuare gli abitanti di Longarone: bastava un’allerta o l’intervento dei carabinieri. Invece si è preferito fare finta di niente.  L’autore ci ha fatto poi riflettere raccontandoci la storia di una famiglia di quattro persone sopravvissuta: l’onda fuoriuscita dalla diga ha lambito la loro casa e solo per caso quelle persone sono rimaste indenni. Eppure per loro la tragedia è stata insopportabile. Il dolore che hanno provato nel non vedere più le strade, le case, la piazza e tutte le persone che conoscevano non ha permesso loro di continuare a vivere lì, hanno dovuto lasciare il paese. Un’altra testimone solo dopo molti anni ha raccontato di essere stata estratta viva dalla ghiaia: allora aveva 8 otto anni, ha sempre ricordato quei momenti ma non è mai riuscita ad esprimerli con le parole e anche a distanza di tanto tempo, quando si avvicina il mese di ottobre non trova riposo né quiete, il ricordo di quella notte continua a tormentarla.

Per farci capire il valore della lettura, Bortoluzzi ci ha portato il primo romanzo d’avventura che ha letto da bambino, è stata la prima storia che lo ha affascinato suscitando in lui la passione per la narrazione. Numerose le curiosità degli studenti anche sui tempi e le modalità della scrittura del libro. “Il saldatore del Vajont” è un libro che riferisce una visita guidata che l’autore ha fatto partendo dalla centrale di Soverzene e risalendo fino alla diga, percorrendo le gallerie e le condotte forzate che rivelano la grande capacità tecnica degli uomini: dai progettisti agli operai, muratori, carpentieri ai minatori che hanno lavorato in quell’immenso cantiere. Per scrivere l’autore ci ha confessato che si alzava presto alla mattina, prima di andare al lavoro, così è riuscito a pubblicare il libro in tempo per l’anniversario del 9 ottobre scorso. Infine gli abbiamo chiesto di leggerci un passo al quale è più affezionato e lui ha scelto la dedica: “A coloro che verranno, perché abbiano così tanto amore, coraggio e forza da non poterlo permettere più”. Le parole di Antonio Bortoluzzi ci hanno davvero fatto riflettere e crescere, è stata un’esperienza di vita oltre che di lettura.

Noela Luci 1A Liceo

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