From the dark past

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Intervista a Letizia Cogo

Le nebbiose terre della Marca hanno rivelato una gemma oscura, una nuova promessa della narrativa horror locale e nazionale. Letizia Cogo, classe 1992, originaria di Castelfranco Veneto e laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, è autrice di ben quattro romanzi (auto)pubblicati nel corso degli ultimi anni. Harald (2020), La Strega di Exeter (2020), Misteri, orrori e scomparse a Providence (2021) e Tre lugubri rintocchi (2023) sono opere narrative dalle trame complesse e tortuose, che propongono una personale rilettura di molti tipici temi dell’horror moderno, della classica ghost story ottocentesca e dell’opera di maestri indiscussi della moderna letteratura fantastica e del terrore, come Edgar Allan Poe, Bram Stoker, Joseph Sheridan Le Fanu e altri ancora, come vedremo.

Ma non è tutto, perché oltre ai citati riferimenti letterari, dalle storie dell’autrice, tutte perlopiù ambientate tra l’Inghilterra, la Scandinavia e gli Stati Uniti, emerge uno studio approfondito di ambiti come le antiche tradizioni del folklore europeo e le relative, vastissime connessioni religiose e magiche, fino ai fenomeni cosiddetti parapsicologici e allo spiritismo.

Ed è proprio con queste cose che i personaggi di Letizia si ritrovano ad avere a che fare, attraverso fosche ed intricate vicende in cui, assieme ad apparizioni di fantasmi senza pace e scoperte di macabri segreti, si sviluppano legami sentimentali e riflessioni etiche sull’emancipazione sociale e intellettuale della persona nella società moderna. Tutti elementi ricorrenti nei suoi corposi, oscuri e avvincenti romanzi. La parola a Letizia…

Ciao Letizia e benvenuta sulle pagine digitali de “la Salamandra”. Puoi introdurci nel tetro e strabiliante mondo dei tuoi romanzi?

Ciao Jari, un sentito ringraziamento a te e a “la Salamandra” per avermi invitata, donandomi la possibilità di parlare di un argomento a me molto caro che sono lieta di condividere. I miei romanzi si collocano indubbiamente all’interno del filone gotico, sovrannaturale, paranormale… Si tratta di ghost stories all’inglese, ma in cui confluiscono tematiche come i buoni sentimenti, la critica sociale, la rivalsa del disadattato, la crescita spirituale, il folklore e le tradizioni popolari.

Harald, il mio primo romanzo scritto durante il “lockdown” del 2020, è una fiaba natalizia in stile gotico, sulla falsariga di A Christmas Carol di Dickens. La storia è costellata di una serie di accadimenti misteriosi, lugubri e spettrali tipici dei thriller, dove la suspense regna sovrana fino all’ultimo capitolo. I festeggiamenti natalizi, rallegrati dalle carole e dalle danze in un ridente paese dello Yorkshire, sono adombrati da una serie di strani e spaventosi accadimenti che si verificano su una scogliera poco lontano, dalla fama per nulla allettante a causa dei tragici eventi di cui è stata testimone.

La strega di Exeter, incentrato sulla difficile condizione di una giovane libera pensatrice del diciassettesimo secolo, riguarda invece il percorso spirituale che la protagonista è chiamata a svolgere. L’anno di ambientazione, 1666, è emblematico, perché il 666 non rappresenta solo il Numero della Bestia reso celebre dalla Apocalisse di San Giovanni (e dal mitico album degli Iron Maiden The Number of the Beast, ovviamente… NdA), atto a indicare, in tal caso, un periodo storico buio e opprimente. Questa cifra magica si può anche vedere come il numero vincente della buona sorte: era così nell’astragalomanzia nell’Antica Roma, stando al fatto che un triangolo equilatero è formato da tre angoli di 60 gradi. Abigail, la ragazza protagonista, attua infatti il percorso personale che secondo la psicologia analitica di Carl Gustav Jung si definisce processo di individuazione: dopo essersi calata totalmente nell’Ombra e avere interfacciato gli spettri relegati negli abissi della “zona di rimozione”, riuscirà a ritrovare l’equilibrio del proprio Sé nelle luci dell’aurora boreale.

Misteri Orrori e Scomparse a Providence, ambientato interamente nel periodo di Halloween, da leggere a lume di candela possibilmente nelle ore notturne, è senza dubbio il romanzo più fiabesco di tutti; richiama degli elementi tipici della fiaba, come la casa abbandonata nella radura, il bosco che inghiotte per sempre chiunque vi si avventuri incautamente, la magia e luoghi incantati che, però, traggono in inganno. Questo libro offre una panoramica delle varie tradizioni tipiche della vigilia di Ognissanti che, dal Vecchio Continente, sono state trapiantate negli Stati Uniti.

Tre Lugubri Rintocchi è caratterizzato dallo svolgersi di due vicende in due epoche differenti, dal momento che i protagonisti, dopo aver ascoltato un disco, entrano in contatto con lo spirito di una donna vissuta nel secolo precedente, in disperato bisogno di aiuto. La vita, il destino, l’universo l’avevano messa di fronte a dure prove, la sua psiche ne aveva risentito a tal punto da indurla a compiere azioni che non avrebbe mai voluto mettere in atto. Anche qui la numerologia entra in gioco: la data cruciale intorno alla quale ruota la vicenda narrata in 31 capitoli è proprio il 31 dicembre.

Quali sono i retroscena e le motivazioni che hanno portato alla genesi di Harald, la tua opera prima?

In quel periodo sentivo il bisogno di dare voce a una parte profonda del mio spirito tramite una narrazione fiabesca dai toni onirici e sognanti, ma che fosse, al tempo stesso, lugubre, incisiva, cupa e oscura. Essendo un’estimatrice del periodo natalizio, durante il quale non posso mancare al mio appuntamento fisso con A Christmas Carol di Charles Dickens, ho voluto inventare una storia similare, vale a dire una vicenda ambientata nell’Inghilterra vittoriana di metà Ottocento, con un intenso alternarsi di apparizioni spiritiche, a cui vanno ad aggiungersi narrazioni riguardanti inquietanti leggende accanto allo scoppiettio del caminetto e innumerevoli riferimenti alla mitologia norrena e alle imprese vichinghe, tematiche molto in auge nel diciannovesimo secolo, durante il quale nasce nell’uomo il desiderio di andare a riscoprire le rovine medievali, le saghe nordiche e la propria parte istintiva, legata ai sentimenti, mentre il secolo precedente era stato caratterizzato da una predilezione per la classicità, l’ordine e il raziocinio, nonostante la sua inquietante fama come secolo dei vampiri. La stesura di questo romanzo è stata determinata anche dal mio desiderio di comunicare un messaggio alla società che, il più delle volte, si è dimostrata opprimente e soffocante nei confronti di individui come Harald, il quale, a mio avviso incarna perfettamente il concetto di innocenza elaborato da William Blake. Quante volte, in nome del materialismo, della rigidità, dell’ideologia e dei dettami delle sovrastrutture, uccidiamo e disprezziamo l’Harald che è in noi o negli altri?

Vuoi parlarci delle tue influenze letterarie? Oltre all’evidente passione per due autentici padri putativi del Fantastico moderno come E. A. Poe e il “Solitario di Providence”, H. P. Lovecraft (il cui “richiamo” è presente, almeno in parte, soprattutto nel tuo terzo romanzo), parrebbe chiaro e ricorrente il riferimento all’Ottocento inglese, anche nel tuo linguaggio molto aulico, ricercato e tendenzialmente barocco…

Ti ringrazio per esserti espresso in questi termini riguardo al mio stile di scrittura, che, nel corso degli anni, cerco di affinare e di perfezionare progressivamente. Noto che hai compreso pienamente chi sono le mie massime fonti di ispirazione. In effetti nelle mie storie sono numerosi i riferimenti a paure ataviche, incubi e orrori ineffabili e insostenibili per la mente umana, ritrovamenti di misteriosi manoscritti che aprono portali con altri mondi totalmente privi di ogni logica e razionalità, fino a sprofondare in scoperte talmente orrende e raccapriccianti da turbare inesorabilmente l’equilibrio mentale dello sventurato, che, in alcuni casi, rischia di dover scontare la sua imprudenza pagando con la propria stessa vita. Diciamo, quindi, che io mi rifaccio molto alla filosofia e al pensiero di Lovecraft, ma non al suo universo onirico e fantastico popolato di creature sovrannaturali come i Grandi Antichi. La maggior parte delle tematiche ricorrenti nelle opere di Poe, come le morti apparenti, misteriose e inspiegabili reincarnazioni, stati di panico così profondi da ledere alla vita del malcapitato, spiriti tormentati, aspre vendette e stati di sonnambulismo sono tematiche ricorrenti in particolare nella mia opera ancora inedita. A tutti questi accadimenti terrificanti, si uniscono, per contro, le atmosfere semplici e accoglienti della vita quotidiana e dei buoni sentimenti. Innegabili risultano, pertanto, le influenze di Louisa May Alcott, Emily Brontë, il cui Cime Tempestose è uno dei romanzi da me più amati, la svedese Selma Lagerlöf, che con i suoi racconti folcloristici dalle ambientazioni per lo più invernali e natalizie, è stata la prima donna ad aggiudicarsi il Premio Nobel per la letteratura. Il già citato Charles Dickens è sicuramente uno degli autori che ha influito maggiormente sul mio modo di esprimermi e sulle tematiche da me trattate, alle cui opere sono riconducibili diversi riferimenti, così come non mancano allusioni ad autori preromantici come Edward Young, Thomas Gray e Mary Shelley. Infine, ritengo che degno di nota sia lo storico islandese del dodicesimo secolo Snorri Sturluson, grazie al quale sono giunte ai giorni nostri le innumerevoli testimonianze di mitologia norrena a cui alludo, in particolare, nei primi romanzi.

Il tuo ultimo romanzo finora pubblicato, Tre lugubri rintocchi, è a tuo dire la più inquietante, oscura e travagliata fra le tue opere. Ha una trama molto complessa e riprende idee e temi che, tecnicamente, potrebbero essere anche appannaggio della fantascienza (come il tema dei piani temporali interconnessi). Ma vi sono anche significativi riferimenti musicali e cinematografici…

Certamente. Come ho già anticipato prima, i due protagonisti, che vivono nella Londra degli anni Settanta del Novecento, grazie a un disco riescono a entrare in contatto con lo spirito sofferente di una giovane donna vissuta cent’anni prima. Black Sabbath è il titolo dell’album in questione, realizzato dall’omonima band britannica (disco super-mega-mitico ed epocale! Pietra miliare della musica contemporanea e opera imprescindibile per comprendere tutto il rock e l’heavy metal successivo! Se non lo avete in casa, andate subito a cercarlo ed ascoltarlo… NdA) e, come avrete modo di scoprire qualora decideste di addentrarvi fra le pagine di questo libro, non si tratta di una scelta casuale. Il mulino di Mapledurham, il luogo dov’è stata scattata la fotografia utilizzata per la celebre copertina del disco, era un luogo molto caro alla giovane defunta quando era in vita, così come Black Sabbath non designa soltanto il nome di una delle più rappresentative e iconiche band britanniche. Quel nome riecheggia nei dolorosi ricordi della malcapitata, facendole riaffiorare alla mente vicende alquanto strazianti.

L’ascolto di quel disco, in particolare del primo brano, appunto Black Sabbath, è in grado di suscitare oscuri e raggelanti avvenimenti al di fuori dell’ordinario, al punto di gettare i protagonisti nel panico totale, dato che nulla sembra più seguire una ragione e un ordine logico. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il classico del cinema dell’orrore I tre volti della paura di Mario Bava, film a episodi guardato dai due ragazzi protagonisti della storia, il cui titolo inglese per il mercato estero, guarda caso, era proprio Black Sabbath

Durante la sera di Halloween, mentre è in onda il primo episodio intitolato Il Telefono, accadono fenomeni inspiegabili e spaventosi, che mettono a dura prova i nervi dei protagonisti, aprendo un portale infero simile al Mundus Cereris scavato dagli antichi Romani nella pratica del Mundus Patet (rituale romano dedicato alla dea Cerere che si attuava tre volte all’anno, in agosto, ottobre e novembre, durante il quale si scavava una buca nel terreno come simbolica connessione tra il il mondo dei vivi e quello dei defunti, NdA).

Perché hai scelto la lunga e impegnativa forma del romanzo e non quella più (apparentemente) semplice e immediata del racconto?

Come giustamente dici, il racconto, per il fatto che è più breve, sembra più semplice, ma non è affatto così. Il racconto richiede un’abilità che non è da tutti, vale a dire catturare al massimo l’attenzione, coinvolgere il lettore e risolvere la vicenda soltanto in poche pagine, senza cadere nella banalità o nel rischio di concludere la narrazione in maniera poco esaustiva ed eccessivamente frettolosa. Non escludo che questi rischi possano presentarsi anche nella stesura di un romanzo, ma ritengo che sia più difficile incorrervi, avendo a disposizione molte più pagine per mantenere attivo l’interesse del lettore nella narrazione fino a condurlo all’apice, da cui poi si dipanano, gradualmente, le conclusioni. Inoltre, ritengo che, ognuno abbia delle abilità ben specifiche e debba seguire la propria vocazione in relazione alla propria natura, o, come avrebbe detto il più celebre mago del Ventesimo secolo, l’inglese Aleister Crowley, alla propria volontà. Io mi ritengo molto più incline alla stesura di romanzi piuttosto che di racconti, vista la mia propensione ad essere piuttosto prolissa e descrittiva e a farmi catturare dalla continua nascita di nuove idee in corso d’opera. In questo periodo mi sto mettendo alla prova con un saggio, ma si tratta di un’altra questione, sulla quale si potrà tornare successivamente.

Come abbiamo visto, sono vari e numerosi i riferimenti alle tradizioni popolari e alle culture antiche che troviamo nelle tue opere. Credi che i tuoi lettori possano ritrovare, in questo, anche un’ispirazione a riscoprire queste cose importanti in un periodo storico come quello in cui stiamo vivendo, non certo molto luminoso per la nostra Europa e per il mondo intero?

Certo che sì, vedo che hai colto il nocciolo della questione, dato che si tratta proprio di una delle ragioni che mi ha indotta a iniziare a scrivere. Spero sempre, con i miei romanzi, di suscitare una certa sensibilità nei lettori nei confronti di tematiche che mi stano particolarmente a cuore, come la rivalsa sociale del disadattato, la spiritualità e i buoni sentimenti, che vincono sul materialismo becero e sul bigottismo, la possibilità che i nostri affetti possano sopravvivere oltre questa dimensione e le radici della vera felicità, da ricercarsi in ciò che sfugge ai nostri sguardi disattenti. Soprattutto, tramite le mie narrazioni, desidero suscitare l’interesse per antiche leggende e tradizioni, che costituiscono un patrimonio culturale non indifferente, purtroppo, soppiantato da false credenze che personalmente, ormai, fatico a tollerare…

Ad esempio, le presunte origini americane della festa di Halloween (All hallows even oppure All hollows even), senza considerare che, nell’ormai lontana epoca medievale, i bambini usavano mascherarsi da spettri e bussare di casa in casa a chiedere un dolce o della frutta secca in cambio di una preghiera per le anime del Purgatorio. Lo stesso dicasi per le feste natalizie, le cui origini pagane sono da ricercarsi in epoche ben antecedenti alla nascita di Gesù Cristo, molto probabilmente avvenuta il 6 gennaio e non il 25 dicembre, mentre, per quanto riguarda la figura di Babbo Natale, che molti ritengono un surrogato di Santa Klaus, ancora una volta il Nuovo Continente non si dimostra affatto innovativo. La tradizione di Sinteer Klaas è approdata insieme ai coloni olandesi nel diciassettesimo secolo nella città di New Amsterdam, oggi New York. In tempi piuttosto antichi, in Nord Europa il Grande Padre Tutto (Allföðr), meglio noto come Odino, provvedeva a riempire gli stivali agli ingressi delle case con doni e prelibatezze, lo scambio di strenne (presenti) in occasione del Sol Invictus era una pratica assai nota nell’antica Roma e San Nicola di Myra, vescovo turco a cui si rifà la figura dell’ormai più noto Babbo Natale, non aveva mai avuto a che fare con il Nuovo Continente. Quindi, se associate Babbo Natale alla Coca Cola, commettete uno sbaglio… piuttosto pensate alla poesia di Clement Clarke Moore A Visit from Saint Nicholas.

Grazie, Letizia! Se vuoi, non ti resta che dare qualche anticipazione sulla tua prossima opera e salutare i lettori de “la Salamandra” come meglio credi.

Di nuovo grazie a te e a “la Salamandra” per l’immensa opportunità che mi avete offerto. Desidero anticipare a tutti voi che, nell’athanor dell’alchimista è ormai giunta al termine la preparazione di una nuova opera, il cui titolo, a più di qualcuno, richiamerà alla mente uno dei più grandi autori di tutti i tempi: Edgar Allan Poe. Il Maelström della follia è il titolo che ho deciso di attribuire a quest’opera, zeppa di riferimenti alla vita e alle opere dello scrittore bostoniano.

Si tratta di un romanzo ambientato all’alba del ventesimo secolo nella cittadina di Nantucket, nell’omonima isola statunitense. Il protagonista lavora come redattore presso una rivista letteraria e non riesce ad accettare che sua moglie, una scrittrice visionaria ed eccentrica, eccessivamente emotiva, sia stata colpita da una grave patologia mentale. Lo psicoterapeuta e i suoi amici cercano in tutti i modi di farlo ragionare e riflettere, fino a quando, nel periodo di Ognissanti, accadrà qualcosa che rivelerà il lato oscuro e sorprendente della vicenda; nulla è come sembra.

Ora è giunto il momento di salutarci. Oltre a ringraziarvi tutti per aver avuto la pazienza di leggere quest’intervista e di avermi dedicato ciò che di più prezioso avete, il vostro tempo, desidero informarvi che i miei romanzi sono acquistabili online in formato kindle e cartaceo oppure, se passate a trovarmi alle fiere, li vendo a prezzo scontato. Per aggiornamenti seguitemi su Facebook e Instagram e venite numerosi alla Tarvisium Celtica a Trebaseleghe il 19, 20, 21 luglio e sabato 13 luglio alla Notte Nera al Paro della Musica a Padova. Vi aspetto!

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