Le vite concentriche di Pablo e Fortuna

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Intervista all’autore Piero Gracis

Siamo in un bar del centro in un bel mattino invernale in compagnia di Piero Gracis, trevigiano, classe 1989, artista visuale e scrittore che ha da poco pubblicato il romanzo fantascientifico Le vite concentriche di Pablo e Fortuna per BookaBook edizioni.

Il tintinnare di tazzine e cucchiaini e il vociare degli avventori attorno a noi ci immerge in un’atmosfera molto “naturalista”, ma nel romanzo di Piero non troverete situazioni molto ordinarie. Romanzo sicuramente complesso e sorprendente, Le vite concentriche ci conduce, attraverso 180 labirintiche pagine, in mondi alternativi, visionari e variopinti…

Benvenuto sulle pagine de “la Salamandra”, Piero!

Grazie, è un piacere essere vostro ospite.

Vogliamo presentare la tua nuova opera ai lettori? Puoi introdurci alle pagine de Le Vite concentriche di Pablo e Fortuna?

Innanzitutto, questo romanzo nasce come una raccolta di racconti, che poi, da opera composita, è diventata progressivamente un’unica storia. Inizialmente il tema era quello di una vicenda abbastanza ordinaria, la storia di una delusione amorosa che porta il giovane protagonista a compensare nelle maniere più disparate. Ma poi, approdando al genere del realismo magico, la vicenda ha assunto connotati più simbolici: si apre sulla scena di un paesino senza nome (che potrebbe ricordare Treviso, per la gioia di chi amerà ravvisare delle somiglianze!), dove i protagonisti della storia vivono in una immaginaria condizione di pace e utopia. Poi però dal paesaggio, dominato da un elemento fondamentale ovvero una enigmatica torre, viene meno la suddetta che sprofonda nel terreno e si trasforma in un pozzo. A questo punto, i protagonisti dovranno confrontarsi con varie cose che incontreranno fuori e dentro di loro… si è infatti aperto un passaggio con l’altrove… o meglio, con vari altrove…

La stessa struttura narrativa è notevole e particolare. Si riallaccia in parte alla tipologia dei cosiddetti libri-game, data la presenza di percorsi e finali alternativi a scelta del lettore all’interno del libro, ma nella trama riesci a interconnettere, attraverso vari piani di esistenza, i vissuti paralleli dei personaggi (Pablo, Pedro, Dorotea, Filomena) … personaggi che sono effettivamente accomunati dall’essere tutti, in modalità e circostanze differenti, sentimentalmente frustrati!

Sì, sono alcuni dei temi ricorrenti. Vi è inoltre quello del nome, dell’importanza simbolica legata a ogni nome. La nostra identità è legata al nostro nome, e ogni tentativo di cambio di nome è un segno importante quando si cerca di svincolarci da una identità che non sentiamo appartenerci più … salvo scoprire che non si riesce mai veramente a scappare da noi stessi!

Infatti un tema che pare ti stia particolarmente a cuore è quello dell’identità, o meglio delle varie identità… per come ti accosti alla questione, riproponi negli anni Venti del XXI secolo il leitmotiv più amato da autori del calibro di Pirandello o, per restare in ambito fantascientifico, il miglior Philip K. Dick!

Grazie del complimento un po’ titanico… diciamo che la ricerca e la definizione, o ridefinizione dell’identità è una questione principale che devono affrontare i protagonisti. Ogni capitolo del romanzo è anzi una storia a sé, che rappresenta una singola prospettiva sulle medesime problematiche ma connessa alle altre storie, e tutti insieme tendono quindi a rappresentare una sorta di prisma, un oggetto che puoi osservare, appunto, da diverse prospettive. Anche il titolo e la copertina del libro esprimono questo: c’è una forma complanare e bidimensionale, composta da diversi cerchi, e in un certo senso immobile. Ma se la osserviamo tridimensionalmente diventa una spirale, la forma del rapporto tra il tempo e lo spazio!

È interessante come questa visione “geometrica” della storia, o delle storie, del tuo romanzo si ricolleghi quasi a richiami platonici, almeno per come l’ho interpretata io. Se poi si considera che il filo conduttore dei vari piani del pluriverso attraverso cui si muovono i protagonisti è proprio l’amore…

Posso dirti che di “platonico” c’è sicuramente il fatto che, a mano a mano che la scrittura della storia progrediva, le figure dei personaggi hanno preso a evolversi, in modo imprevisto e indiretto, da quelle che erano le mie iniziali aspettative, quasi fossero appunto idee originarie calate dall’Iperuranio. Ma, com’è ovvio, questo è un processo abbastanza normale in qualsiasi composizione poetica. Sostanzialmente, questi personaggi li ho trattati come raffigurazioni, o metafore, delle diverse fasi della perdita, del lutto. Ogni storia d’amore che finisce è in pratica un lutto per qualcosa che ha ormai cessato di esistere, nonostante le persone che l’hanno vissuta continuino a vivere con una nuova consapevolezza e per certi versi una nuova identità, appunto. Logicamente la perdita va elaborata, in varie fasi: c’è la rabbia, il “patteggiamento”, l’accettazione… e soprattutto c’è il rimettere in prospettiva i sentimenti, perché il passare del tempo ci porta a riconsiderare con un certo distacco quell’esperienza così intensa e importante. Il romanzo riflette anche su questo: alla fine, quello che ci era sembrato importante in un determinato momento della nostra vita, può venire ridimensionato a livelli che talvolta nemmeno ci aspettiamo. Insomma, direi che si può vedere questo romanzo un po’ come un’ode al relativismo sentimentale!

Parliamo dello stile narrativo. Le vite concentriche… è stato pubblicato dalla BookaBook nella collana di fantascienza, ed è innegabile che la storia riprenda molti elementi di questo ambito, ma di sicuro c’è molto altro. Hai accennato all’influenza del realismo magico, ed è infatti evidente in certe idee, certe descrizioni e figure dalla simbologia a volte grottesca a volte inquietante (lo stregone-uovo-albero incappucciato, l’aragosta gigante che distrugge la città)…

Ti riferisci ovviamente a elementi come i paradossi spazio-temporali o l’ambientazione futuristica, che in effetti sono dei tipici e sempre affascinanti archetipi narrativi della “Sci-fi”. Per quanto riguarda i simboli, diciamo che essi, per loro stessa definizione, sono qualcosa che richiama qualcos’altro (dal greco συμβάλλω, «unisco», «metto insieme», NdA). E spesso i simboli si incarnano. Ad esempio, l’archetipo dell’aragosta è sicuramente legato a un personaggio che si porta dietro un trauma da molte vite passate, ma rappresenta anche altro… come si scoprirà leggendo il romanzo!

Sappiamo che sei peraltro un cultore videogiochi…

Già! E colgo sempre l’occasione per sottolineare come i videogiochi non siano un semplice e singolo medium, ma la loro particolarità comprende da sempre una moltitudine di arti e di talenti, dai character-desinger ai compositori musicali. Attraverso il videogioco, l’autore del suddetto si rivolge al fruitore offrendogli delle scelte interattive nei modi e nelle forme più disparate. Nel libro ho cercato di esplorare questa possibilità ludica, in modo da fornire dei punti di vista alternativi sulla vicenda, senza per forza restare ancorato a un “dogma della linearità” ovvero andare per forza da un punto A a un punto B… Vi è poi una riflessione sulla specifica ambiguità del linguaggio, che comprende il discorso sul nome che abbiamo già menzionato. Tutto ciò, questo generale concetto dell’ambiguità, riemerge appunto nella specifica sezione del romanzo impostata sui canoni del libro-game a cui accennavi, e si ricollega al concetto di molteplici, infinite possibilità alternative che ognuno di noi può incontrare…

E i fumetti? Quanta ispirazione è giunta, per la tua opera, da questo mondo (tanto per usare un’espressione in tema?)

Un’ispirazione fondamentale! I manga sono una parte integrante del mio universo fantastico, tra le tante cose potrei citare serie come Blame o la vecchia Sailor Moon, un manga (e rispettivo anime) che è stato spesso sottovalutato dai detrattori e tacciato di essere “roba da ragazzine”, quando in realtà è ricco di notevoli riferimenti simbolici. Per non parlare del genere toku sazu e dell’ikaju: gli esempi più famosi sono lo stesso Godzilla, le serie dei “robottoni” (Goldrake, Mazinga…) fino ai Power Rangers (la cui serie originale, Super Sentai, è giapponese). Ho cercato di restituire in chiave, se vogliamo, “psicanalitica” la gioia infantile di quel genere fumettistico e animato, familiare a tutti coloro che appartengono alla nostra generazione. Un genere che alla fine non richiede certo grandi riflessioni per essere apprezzato, ed ha in questo modo una grande capacità liberatoria. Per non parlare del fascino della vecchia stop-motion e dell’audioanimatronica, che ha ispirato le figure dei dinosauri colorati e parlanti con cui si confronta Filomena, a un certo punto del suo percorso…

Nel 2017 avevi pubblicato il tuo romanzo d’esordio, Loro, per Erga Edizioni. Quali le differenze e i collegamenti tra quest’opera e Le vite concentriche di Pablo e Fortuna, se ce ne sono?

Mentre per Loro avevo tracciato un universo e una mitologia di partenza, su cui poi edificare il romanzo, per Le vite concentriche, come si è detto, sono partito da dei pezzi sparsi che poi ho “incollato” e integrato, ma la differenza è anche, per così dire, nello sguardo d’insieme. Con Loro la volontà era quella di sorprendere, e la vicenda personale del protagonista era secondaria rispetto all’ambientazione fantastica, mentre qui l’approccio che ho usato è quasi inverso, essendo la questione centrale il percorso di ridefinizione dei personaggi. Essi non ne sono succubi, sono il punto d’innesco e l’origine di questa idea e di questo approccio stilistico.

Come ti sei trovato con il lavoro svolto da BookaBook per il tuo romanzo?

Meglio di quanto mi aspettassi: è una casa editrice seria, perché è gestita da persone che mettono subito nero su bianco cosa possono fare per te, cosa puoi ottenere, quali limiti ci sono… per quanto riguarda tutta la parte di “editing” hanno dimostrato di avere inteso chiaramente cosa volevo esprimere con il romanzo, pur tornando più volte su vari passaggi. Hanno risposto alle mie necessità, senza mai mettere fretta per concludere il lavoro. BookaBook ha, secondo me, trovato un buon equilibrio tra l’editoria tradizionale e moderna.

Le vite concentriche di Pablo e Fortuna è disponibile dal 4 febbraio e viene presentato alla Libreria Canova di Treviso il 3 marzo.

Jari Padoan

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