Sentirsi amati passa per il sentirsi riconosciuti. Non sempre questo avviene all’interno di una relazione ma, per esempio, attraverso la lettura di un testo che sembra comprenderci come è accaduto ad Agnese che ha trovato nelle parole del dott. Leonardo Mendolicchio quello che da tempo cercava.
Non sono mai riuscita a bastare a me stessa.
Bastare a se stessi.
Mi sono ritrovata periodicamente a ripetermi queste parole tante volte, come un mantra… senza ottenerne mai un vero beneficio.
Un vuoto incolmabile mi ha sempre abitato il petto, lo stomaco e la mente.
Ho cercato di colmarlo in molti modi: con il cibo, con un dolore fisico autoprocurato, con relazioni dipendenti in cui mi sono persa nell’altro; il risultato è sempre stato lo stesso: un odio ancora più profondo nei confronti della mia persona e di quella voragine senza fine e ingestibile che mi abita.
Nel raggiungere il limite, ogni volta, mi sono detta: “Smettila! Impara a bastare a te stessa!”, ma, a lungo andare, con il ripetersi ciclicamente dei soliti meccanismi malati, mi sono resa conto che anche questa frase era un palliativo, un sollievo momentaneo dall’angoscia scaturita dal continuo cercare fuori da me qualcosa che potesse riempirmi, senza trovarlo mai, non una soluzione definitiva.
Un giorno, casualmente, ho ascoltato un video in cui parlava il dottor Mendolicchio, fondatore dei centri “Food for Mind”, rete per la cura dei disturbi del comportamento alimentare, che mi ha illuminato.
É stato come se mi avesse svelato una cosa di cui nel profondo ero già a conoscenza, la sentivo, ma non avevo mai concretizzato realmente, mai esternato con la parola.
“Penso che chi guarisca da una qualsiasi forma di sofferenza psichica, compreso un disturbo del comportamento alimentare, non copra quel senso di mancanza sostituendo l’ideale degli altri con se stesso, ma credo che guarire da un disturbo alimentare, senza avere residui, passi attraverso la cessazione del bisogno di colmare quella mancanza.
[…]
Io non credo che io possa bastare a me stesso, che questo possa colmare quel vuoto in cui prima ci mettevo gli altri e pretendevo che gli altri potessero restare lì a colmare quel vuoto.
Quel vuoto è lì. Quella mancanza è lì.
[…]
Siamo connaturati con questa cosa, che non è una condanna ma piuttosto un punto da cui ripartire.”
Ecco, il centro credo stia proprio qui, nel capire che nulla potrà mai riempire quel vuoto, che niente sarà mai abbastanza, neanche me stessa.
Questo semplicemente perché quel vuoto non deve essere colmato, ma compreso.
Ciò non significa avere un atteggiamento di rassegnazione passiva nei confronti della vita, al contrario, è necessario responsabilizzarsi sul proprio malessere partendo proprio dal presupposto che il senso di mancanza è insito nella condizione umana.
Dunque, non più imparare a bastarsi, ma imparare ad abitarsi.
Agnese
Elena Mondello
Psicologa – Psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico lacaniano
Specializzata in disturbi dell’alimentazione.
Food For Mind Mestre Venezia – Centro per la Cura dei Disturbi Alimentari
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