In amor si è pazzi o saggi?

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Amare o non amare? Ecco qual è il vero dilemma che affligge grandi e piccini. La passione che si prova quando si sentono le farfalle nello stomaco, le mani sudate e l’ansia di non essere mai abbastanza, una sensazione che ti dà una scossa per tutta la spina dorsale e che resterà nel bagaglio dei ricordi per l’eternità. 

Il primo amore è quello che non si scorda mai, ma perché? Troppo doloroso? Troppo appassionato? O forse ingiusto? Non c’è risposta vera e propria, la scienza deve ancora fornirci il risultato delle sue ricerche in questo campo, ma credo, per esperienza, anche se ben poca, che la risposta a questo grande mistero dipenda da persona a persona.

Due persone, due cuori, che con il passare del tempo prendono lo stesso ritmo, il sogno di chiunque. 

Incontrarsi, innamorarsi, conoscersi, sposarsi, creare una propria famiglia, invecchiare insieme, morire e ricongiungersi. La bellezza di non rispondere ai figli quale sia stato il primo amore ma di prendere la mano di quella persona e raccontarlo insieme. La bellezza di festeggiare anno dopo anno l’unione dei due, di dimostrare che il per sempre, il finché morte non vi separi, è vero come quello della favola di Cenerentola.  Che il “ti amo” è qualcosa di più di due semplici parole, come quello che dice Shakespeare “Dubita che le stelle siano fuoco… Dubita che il sole si muova… Dubita che la verità sia mentitrice… Ma non dubitare mai del mio amore!”

Eppure, il ritmo di quei due cuori, a volte, si perde e il legame del “persempre” svanisce, come in una melodiosa sinfonia. 

“Ho guardato in tutti i posti, dove non ci sei, ma non riesco a trovare il posto dove sei, so soltanto che tu sei dove non sono io ed io dov’è che sono? E quanto vorrei che ci fossi tu qua a dirmelo.”

Lo struggimento, il senso di solitudine, l’ansia perenne, montagne o catene montuose di fazzoletti, un dolore a cui non basta mettere il cerotto colorato o prendere gli antidolorifici. Un dolore, una ferita forse molto più dolorosa dei graffi che tutti possono vedere.

E, talvolta, questo dolore ci può portare ad essere pazzi. Ci spinge a fare cose spericolate o pericolose per superare la perdita, per affrontare il dolore. Una pazzia che ci porta a compiere gesti non ben visti dalla società in cui si vive.

Ripescando dallo scaffale dei ricordi mi è tornato in mente che, al telegiornale, è stato dedicato un servizio a una coppia, che si era lasciata da poco, era stata lei a lasciare il suo compagno, per questo lui non era molto contento. Dopo poco la ragazza aveva postato sui social una foto con un ragazzo e l’ex geloso? Egoista? Ha ben pensato di uccidere la giovane, perché se non poteva averla lui, non l’avrebbe avuta nessun altro. Lui le ha portato via la vita per egoismo, per tenersela tutta per sé. Ma ora come ora neanche lui può più amarla.

Eppure esistono anche persone, che pur avendo provato il senso dell’abbandono, ne hanno preso spunto, hanno fatto sì che quel dolore gli facesse da insegnante, da guida, portandolo infine a diventare saggio, ad imparare dagli errori, come scrive Montale “Eppure, resta che qualcosa è accaduto, forse un niente che è tutto.”   

In conclusione, vi consiglio di commettere errori in amore e di non pentirvi, è così che si impara. Perché i rimpianti sono il peso più grande quando si invecchia. Chi ama veramente osa, senza pensare a quello che potrà accadere dopo. Chi arde di passione è meno propenso a impazzire, perché quel fuoco verrà rianimato quando arriverà la persona giusta. Nel frattempo la saggezza prenderà il sopravvento e guiderà la vostra anima.

“Mandate quei messaggi che vi fanno paura, spingete “invia” e buttatevi. Baciate le labbra che volete baciare. Prendete quei treni e aerei. Vivete e amate come non ci fosse un domani, perché la vita è una.”

Veronica M. 2 EU – Liceo Duca degli Abruzzi

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