Nella prima settimana di aprile sono successi due fatti molto importanti che riguardano casi sui quali Amnesty International si è spesa molto.
Il primo fa riferimento al rinvio al 21 giugno dell’udienza del caso di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna sotto processo nel suo Paese per reati di opinione.
Patrick è bloccato nelle maglie di un sistema giudiziario che prima lo ha tenuto 22 mesi in carcere in attesa di un processo e ora è bloccato dentro un processo che non si sa quando finirà. Da persona innocente, deve poter tornare alla sua vita e ai suoi studi. Noi continueremo a fare pressione fino a quando non tornerà definitivamente libero.
A questo proposito il gruppo di Treviso ha deciso di riprendere le mobilitazioni. Per tutte le informazioni sul loro svolgimento seguiteci sulle pagine Facebook e Instagram.
Il secondo fatto si riferisce all’omicidio di Stefano Cucchi del 22 ottobre 2009 mentre si trovava in custodia cautelare e alle due sentenze di qualche giorno fa.
Nella prima la Corte di Cassazione ha confermato le condanne per omicidio preterintenzionale ai due carabinieri ritenuti responsabili della morte di Stefano, portandole da 13 a 12 anni. Gli altri due carabinieri, accusati di falso, sono stati invece rinviati a un nuovo processo di appello.
Nella seconda il Tribunale di Roma ha condannato, in primo grado, gli otto carabinieri ritenuti responsabili dei depistaggi messi in atto dopo la morte di Stefano Cucchi.
Un altro evento molto importante è l’uscita del Rapporto Annuale, la pubblicazione nella quale vengono raccolte le principali violazioni dei diritti umani documentate da Amnesty International e dove viene riassunta la situazione generale dei diritti umani nel mondo e a livello di singoli Stati.
Per terminare vi comunico una delle tante “Buone notizie”.
Il 24 marzo Bernardo Caal Xol, un insegnante guatemalteco di 50 anni, sindacalista e difensore dei diritti del popolo nativo Maya Q’eqchi’, è stato scarcerato per “buona condotta”.
Una “buona condotta” che in realtà aveva mostrato per tutta la vita impegnandosi nella protezione della sua comunità, minacciata da un progetto idroelettrico sul fiume sacro Cahabon, che avrebbe devastato il territorio dei Maya Q’eqchi’.
Il suo attivismo gli era costato l’arresto il 30 gennaio 2018, la successiva incriminazione per le accuse fabbricate di rapina aggravata e sequestro di persona e il 9 novembre dello stesso anno una condanna a sette anni e quattro mesi di carcere. Ne ha scontati poco più di quattro, comunque un’enormità per una persona che non aveva commesso alcun reato. In suo favore Amnesty International aveva raccolto oltre mezzo milione di firme. Per approfondire i casi citati in questo articolo e rimanere aggiornati sul lavoro di Amnesty International visitate il sito www.amnesty.it e le pagine social di Amnesty International Italia.
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