Purtroppo ciclicamente veniamo a conoscenza di fatti tragici che, come un tornado, come una martellata improvvisa sulla testa, ci fanno improvvisamente risvegliare da un torpore di tranquillità sociale e riprendiamo contatto con una realtà difficile come quella delle relazioni, dei rapporti con le persone, del rispetto, dell’amore verso l’altro, della sofferenza e della difficoltà di educare.
Galimberti, filosofo e profondo conoscitore della nostra società , conia il termine di analfabeti emotivi riferendosi a una parte di giovani di oggi, che non riescono a mettersi nei panni altrui, fermi ad un’immaturità emozionale, incapaci di compiere un passaggio, dall’impulso dell’azione, verso la comprensione attraverso l’emozione.
Potremmo definirli semplicemente delinquenti, coloro che sfogano la loro frustrazione attraverso azioni aggressive atte a schernire, deridere, colpire fisicamente e psicologicamente un’altra persona solo perchè incarna perfettamente le proprie emozioni negative, ma sarebbe estremamente semplicistico e si rischierebbe di osservare il sintomo piuttosto che curare la malattia.
Purtroppo si crede che i sentimenti, l’amore verso gli altri ed il relativo rispetto, questa parola quasi sconosciuta, nascano naturalmente dentro di noi, ci appartengano come dato di fatto e possano essere trasmessi a livello genetico.
I SENTIMENTI SI APPRENDONO ATTRAVERSO LA RELAZIONE e rappresentano la base della relazione educativa.
Le cure che noi, come essere umani, abbiamo ricevuto o come i nostri genitori si sono rivolti a noi o ancora come hanno provveduto, non a livello materiale, ma bensଠa livello emotivo, alle nostre necessità , determina quella capacità di essere in grado, divenuti adolescenti ed infine adulti, di porci in una relazione autentica con gli altri.
Renderci conto come stanno gli altri, prodigarci o meno verso gli altri, uscendo cosଠda un egoismo egocentrico del bambino che siamo stati, rappresenta un percorso educativo fondamentale per la società , che non può essere delegata a nessuno.
Se nei primi anni di vita i bambini non sono stati seguiti, ASCOLTATI, allora cresceranno con la sensazione di non avere valore. Il modo in cui siamo stati curati rappresenta un modello di riferimento per aprirci al mondo ed entrare a livello empatico in relazione con gli altri.
Se nella vita un bambino sperimenta l’assenza dell’essere accudito, la distanza nell’essere sostenuto e la mancanza di un tempo di qualità, non avrà avuto la possibilità di maturare quel passaggio fondamentale dall’impulso all’emozione. L’impulso cerca il gesto, mentre l’emozione riconosce l’altro, dando valore a ciò che si compie, dice o fa.
In assenza di tale capacità e maturità , molti atti di violenza, di bullismo, rappresentano proprio tale difficoltà , quel passaggio all’atto, un impulso verso colui che non riconosco, perchè non sono stato educato a riconoscere il dolore e la sofferenza altrui.
Già nei bambini piccoli si possono osservare queste capacità , il bambino che recepisce la sofferenza dell’altro e che si attiva per confortarlo, è un bambino che ha avuto la possibilità di sperimentare su di sè una cura adeguata e la trasferirà verso gli altri.
I genitori non devono colpevolizzarsi ma responsabilizzarsi maggiormente, rispetto agli eventi che accadono ai propri figli, sia che siano vittime o bulli, per aiutarli a crescere in fiducia e rispetto verso se stessi e verso gli altri. Una realtà familiare in cui le regole sono condivise e non dittatorialmente imposte, in cui il no di un genitore viene ancora considerato e non strategicamente deriso.
Dr.ssa Anita Avoncelli “” Pedagogista
Per info e contatti: https://educazionefamiliare.wordpress.com