
Il genocidio in atto nei confronti del popolo palestinese è ormai quotidianamente documentato da orribili immagini di devastazioni di infrastrutture, punti di raccolta di cibo, acqua, carburante e qualsiasi fonte di approvvigionamento di beni di necessità per la popolazione.
L’intento è chiaro: l’obiettivo è limitare fino a cancellare volutamente le libertà personali degli individui, nonostante il diritto internazionale imponga alle parti interessate nei conflitti armati, di proteggere e non includere in alcun modo la popolazione civile.
Ma il popolo, da entità da tutelare, è diventato il principale bersaglio, se non addirittura la causa scatenante del conflitto.
Ogni popolazione è per sua natura costituita da un insieme di persone, ognuno con la propria storia, familiare e non solo. Tutte le comunità si creano sulla base di amici, colleghi, fratelli, sorelle, figli, padri e madri.
Ed una madre, tra le tante, ha accettato di condividere la sua testimonianza.
Vive a Beit Lahia, nel nord della striscia di Gaza, ha un figlio di 12 anni, con il quale sta ancora tentando di ripulire dalle macerie quel che resta della sua casa, da cui è fuggita per alcuni mesi, dopo che l’esercito israeliano ha ordinato lo sgombero dell’area in cui risiedevano.
Dichiara di non avere niente a disposizione. Fare la spesa significa lottare nei pochi punti di raccolta rimasti attivi (ormai quasi assenti) per recuperare acqua pulita. Il cibo rimasto è in scatola, a lunga conservazione. Non si vedono frutta e verdure fresche da tempo ormai. Nonostante questo, si ritiene grata perché suo figlio è per ora sopravvissuto a quello che sta accadendo.
Riflette sul fatto che ai loro bambini è stata completamente negata la felicità, fondamentale componente di un’infanzia serena, che spesso si trova in poche semplici cose a loro precluse: spazi per giocare, passeggiate al mare, andare a scuola.
La colonna sonora della loro vita è da molto tempo il rumore delle bombe, vicine o lontane che siano, da cui lei cerca in qualche modo di ripararli.
L’unico scopo per cui lottare quotidianamente è tenere la morte lontana di propri figli, più ancora che da sé stessa, specialmente dopo il nono trasloco di fila in poco tempo, cercando di inseguire un pizzico di serenità, o forse di allontanarsi dall’inferno.
Le manca la sua città, Beit Lahia, per com’era fino a poco tempo fa, famosa per le fragole e i fiori, e che ora è un cumulo di macerie, fumo, cenere.
E come lei, tantissime altre madri, persone, che vedono la propria casa scomparire sotto le perpetue ondate di bombardamenti, che sperano di fuggire alla morte ritrovando ben presto tutte le libertà di cui sono privati, che rendono una persona degna di essere definita tale.
Campi Estivi Amnesty International. Cambiando argomento mi preme ricordarvi che, come da svariati anni a questa parte, Amnesty Italia organizza dei campi estivi per persone di tutte le età.
Potete trovare tutte le informazioni al seguente link https://www.amnesty.it/entra-in-azione/summer-lab/
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