

L’eredità di David Lynch nel cinema mondiale
«Ci sono molte cose nascoste che sembrano segreti. E tu non riesci a capire con certezza se sei solo un paranoico o se questi segreti ci sono davvero…» (D. Lynch).
Il cinema americano, anzi, diciamo pure la Storia del cinema mondiale ha perso un grande autore, all’inizio di questo 2025: parliamo della scomparsa di David Lynch, regista di culto da quasi mezzo secolo, potentemente entrato nell’immaginario collettivo con film quali The Elephant Man e Velluto Blu, nonché la ormai “mitica” serie televisiva Twin Peaks.
Uno stile unico: il significato di “lynchiano”
Lo stesso nome di Lynch, o meglio, l’aggettivo lynchiano, che, diciamolo subito, per forza di cose ricorrerà molto nelle prossime righe, è divenuto ormai da tempo un sinonimo di “assurdo”, “surreale” (molti sicuramente approverebbero anche le espressioni “incomprensibile” o “fuori di testa”!), a riprova di quanto “estremi” siano i suoi film, e a che cosa va incontro lo spettatore che si imbarca nell’impresa di guardarli.
Come è noto, infatti, la maggior parte delle opere cinematografiche di Lynch non sembrano nemmeno seguire necessariamente una linearità narrativa (preferendo perlopiù una sorta di surreale “circolarità” della storia, in cui si torna alle origini della vicenda chiudendo un cerchio), disorientando lo spettatore in uno stile che ricorda i racconti di Jorge Luis Borges e di Franz Kafka, che per stessa ammissione di Lynch era il suo scrittore preferito. Innumerevoli, inoltre, sono i riferimenti a simbologie bizzarre, enigmatiche, perfino esoteriche, disseminate in tutta l’opera del regista statunitense.
Infanzia e formazione di David Lynch
David Keith Lynch nacque a Missoula, nel Montana, nel gennaio 1946 e trascorse parte dell’infanzia e della adolescenza negli Stati nordoccidentali (l’ambiente dei tipici paesaggi che torneranno in Twin Peaks, che il regista dirigerà a inizio anni Novanta), abitando per un certo periodo nello stato di Washington e in quello dell’Idaho. Questi continui spostamenti furono dovuti alla professione di suo padre, un ricercatore del Dipartimento per l’Agricoltura. A quanto riporta lo stesso Lynch, la sua era una famiglia tranquilla, anche troppo tranquilla: «[I miei genitori] non bevevano, non fumavano, non litigavano mai. E io invece volevo che bevessero, fumassero e che discutessero. Volevo che qualcosa di strano accadesse nella mia vita!» raccontò Lynch in sede di intervista.
Dalla pittura ai primi esperimenti cinematografici
Proprio in seguito a uno dei continui cambi di residenza, durante la sua permanenza in Virginia il futuro regista, grazie anche al supporto di Bushnell Keeler (un vicino di casa pittore), inizierà a lavorare sul sogno nel cassetto di divenire un artista.
In quel periodo, l’amore di Lynch per la pittura sarà influenzato anche dai panorami naturali e dalla vita all’aria aperta, data la sua “militanza” nei Giovani Esploratori d’America, presso i quali Lynch arriverà al rango di Eagle Scout, ovvero il massimo grado dell’organizzazione scoutistica statunitense (cosa che gli permetterà di assistere alla cerimonia di elezione del presidente Kennedy).
In seguito, Lynch si iscriverà alla Accademia di Belle Arti di Boston, per studiare lo stile degli artisti europei, soprattutto la scuola espressionista tedesca. Tenterà poi di trasferirsi a Salisburgo, in cerca di ispirazione, ma tornerà nel giro di pochi giorni in America. A detta del regista, la città natale di Mozart era «troppo pulita e ordinata». In ogni caso, il ventenne David Lynch ha deciso: si dedicherà alla Settima Arte, iscrivendosi nel 1966 all’Accademia della Pennsylvania.
Qui, con poche centinaia di dollari, realizzerà i suoi primi cortometraggi, una raccolta intitolata Six Men Getting Sick («Sei uomini che si ammalano»). Già in questo primo esperimentosi possono intuire le notevoli abilità filmiche di Lynch, nonché lo stile e i temi cari al successivo cinema di Lynch: deformità fisiche, anomalie comportamentali, ambienti claustrofobici caratterizzati da fastidiosi rumori industriali, scontri generazionali e ovviamente una generale atmosfera surreale e incomprensibile saranno tematiche ricorrenti nelle sue opere.
Eraserhead: l’inizio di un culto cinematografico

Una prima rielaborazione di questi temi portanti è appunto il primo, celebre lungometraggio di Lynch, il disturbante Eraserhead uscito nelle sale nel 1977. In realtà, le riprese del film si protrassero per circa sei anni e, tra rimandi e contrattempi, furono infatti particolarmente sofferte: il regista si ritrovò, fra l’altro, ad ipotecare la sua casa per avere ulteriori finanziamenti, finendo ad abitare e dormire praticamente sul set.
La storia di Eraserhead è tanto semplice quanto allucinante: due coniugi residenti in una sonnolenta cittadina di provincia si ritrovano da un giorno all’altro ad essere genitori di un essere mostruoso (un tema che sembra riprendere il primo, terrificante racconto di Richard Matheson, Born of man and woman, pubblicato nel 1954), quasi una orrifica e grottesca allegoria della repulsione delle vecchie generazioni verso il mutamento portato dalle nuove.
Per quanto acclamato dal pubblico e dalla critica, Eraserhead – La mente che cancella non ebbe facile distribuzione. Al punto che, durante lo screening test di proiezione, diversi spettatori dovettero lasciare la sala, alquanto turbati. Non a caso, nelle distribuzioni seguenti vennero tagliati diversi minuti della pellicola originale.
Ciononostante, Eraserhead divenne in breve tempo un piccolo grande cult movie, al punto che Stanley Kubrick espresse una grande ammirazione per il film (secondo alcuni, il geniale regista di 2001 Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Barry Lyndon all’epoca avrebbe annoverato Eraserhead perfino come film preferito!).
Pare che Kubrick stesso abbia raccontato in un’intervista che se Lynch non avesse mai girato Eraserhead, lui non avrebbe trovato adeguata fonte di ispirazione per girare Shining (oltre a sottoporre il cast del suo film a reiterate visioni di Eraserhead per farli calare in una atmosfera di angoscia e disagio, quale avrebbe potuto essere quella vissuta nell’Overlook Hotel, il leggendario albergo maledetto di Shining).
The Elephant Man: Lynch racconta l’umanità
L’uso magistrale e suggestivo del bianco e nero torna anche nel successivo lavoro di Lynch, che vede la luce tre anni dopo e raggiunge anch’esso lo status di film di culto. Si tratta di The Elephant Man, un film che, a differenza del suo predecessore, non è del tutto una visione allucinata e surreale ma narra la toccante vicenda storica del signor Joseph Merrick, vissuto nella Londra del tardo Ottocento, affetto da una grave patologia fisica e sfruttato in circhi di second’ordine come “fenomeno vivente”.
Coadiuvato da grandi attori come Anthony Hopkins e Anne Bancroft, è l’irriconoscibile John Hurt a interpretare il sofferto ruolo del protagonista: l’«Uomo Elefante», nella sua deformità dietro la quale si cela un animo gentile e sensibile, si conferma come personaggio “lynchiano” assoluto.

Il fallimento di Dune e le sue cause produttive e culturali
Il grande successo di pubblico e critica che accoglie The Elephant Man conduce Lynch verso il progetto di un nuovo film, che si preannuncia fin da subito molto più arduo e impegnativo, e che uscirà sugli schermi nel 1984: l’epopea fantascientifica di Dune. Film tanto complesso quanto controverso, secondo alcuni un autentico capolavoro, secondo altri non certo l’opera migliore del regista (la cui libertà venne comunque molto limitata per questioni di produzione), Dune rimane a tutt’oggi un film tanto grandioso quanto oscuro.
Un adattamento visionario e personale del romanzo di Herbert
Classificabile, almeno formalmente, nel genere fantascientifico (se si ammette una fantascienza “lynchiana”, ovvio), il Dune di Lynch ricostruisce con buona approssimazione, e molta licenza d’autore, l’immenso bagaglio fantastico e simbolico del grande romanzo di Frank Herbert da cui è tratto.
Herbert pubblicò Dune nel 1965 segnando una pietra miliare della fantascienza umanistica, una saga spaziale ambientata nell’anno 10191 in cui le dinastie rivali degli Atreides e degli Harkonnen vogliono accaparrarsi il dominio del pianeta desertico Arrakis. Il pianeta, noto anche come Dune, è un luogo molto ambito per la produzione della “Spezia”, una sostanza che aumenta le percezioni sensoriali umane e conferisce doti di preveggenza. Il giovane erede della Casa Atreides, Paul (interpretato da Kyle MacLachlan, che da qui inizia con Lynch una lunga e proficua collaborazione), oltre a ritrovarsi al centro degli intrighi di corte e braccato dai sicari degli Harkonnen, viene accolto dal popolo guerriero di Arrakis, i Fremen, che lo riconoscono come un messia annunciatore di una nuova era.
Il progetto ambizioso e la mancata comprensione del pubblico
La vicenda di Dune, ambientata su altri pianeti in un lontanissimo futuro, e immersa in un’aura mistica piena di vari riferimenti mitologici ed esoterici (ad esempio di tradizione indiana, islamica, ebraica e buddista), sembrava effettivamente pronta per essere trasposta sullo schermo da David Lynch (ma va ricordato che il progetto del film, dalla genesi lunga e tormentata, venne inizialmente proposto all’altrettanto “folle” e visionario regista argentino Alejandro Jodorowsky).
Ciononostante, alla sua uscita Dune non ottenne il successo sperato: non solo, come accennato, la produzione di Dino de Laurentiis impose pesanti tagli e modifiche al risultato finale della pellicola, ma il film fu sostanzialmente un fiasco, nonostante la presenza di un grande attore come Max von Sydow (nel ruolo del dottor Liet-Kynes) e di una “superstar” del momento come Sting nel ruolo (un po’ forzato…) di Feyd Rautha, malvagio rampollo della casa Harkonnen.
Un film fuori tempo e fuori luogo
Ciò non sorprende se si pensa che Dune usciva nelle sale in un contesto, quello della metà degli anni Ottanta, in cui il “grande pubblico” era ovviamente molto più coinvolto dai film d’azione di Stallone e Schwarzenegger o dalle commedie adolescenziali, senza pretendere certo una complessità narrativa, concettuale e stilistica come quella riscontrabile nel film di Lynch. In linea di massima, all’epoca Dune non venne capito nemmeno nell’ambito degli appassionati del cinema fantasy / fantascientifico, evidentemente ancora entusiasti per il “muscolare” Conan il Distruttore (girato contemporaneamente a Dune) con il citato Schwarzenegger e della trilogia di Star Wars conclusasi con successo mondiale nel 1983 col film Il ritorno dello Jedi. Ironia della sorte, si ricordi che non solo la regia del suddetto film venne proposta a Lynch stesso, che ovviamente rifiutò, ma la fortunatissima saga stellare di George Lucas era in buona parte ispirata proprio al Dune di Frank Herbert!
Velluto Blu: il ritorno all’incubo della provincia americana
Nonostante l’insuccesso del suo kolossal di fantascienza, Lynch prosegue la sua strada, girando quello che verrà riconosciuto come un altro storico capitolo della sua epopea surreale, ovvero Velluto Blu (Blue Velvet), che esce nel 1986.
Sempre sotto l’ala protettrice di Dino de Laurentiis, che crede ancora nelle straordinarie capacità del regista (e che stavolta gli lascia carta bianca, pur con un budget inferiore alla produzione stratosferica del film precedente), Velluto Blu ripropone il tema della provincia americana apparentemente idilliaca, che in realtà nasconde un sostrato da incubo, fatto di violenza e follia. Il film rimette in scena MacLachlan nel ruolo del tipico ragazzo di provincia che si caccia nei guai, e si avvale delle interpretazioni di Isabella Rossellini (la femme fatale Dorothy) e Dennis Hopper (uno spietato e squilibrato boss del crimine), in una personale rilettura del giallo e del noir ancora oggi citata tra i capolavori lynchiani.

Twin Peaks: il culto lynchiano si afferma in TV
Ma è all’inizio degli anni Novanta che Lynch ottiene la sua definitiva affermazione come regista di culto, e questo avviene grazie a due cose: la televisione e una sperduta cittadina di montagna chiamato Twin Peaks. I segreti di Twin Peaks, la serie televisiva più “fuori” degli ultimi trent’anni (mandata in onda sugli schermi italiani nel gennaio 1991), viene scritta da Lynch e dallo sceneggiatore Mark Frost con l’idea di unire il giallo-poliziesco e spunti tipicamente horror-soprannaturali a una fitta trama di schermaglie sentimentali tra i numerosi protagonisti, oltre a molto, molto altro partorito dalla mente vulcanica e insondabile del regista.
L’inquietante universo di Twin Peaks: simboli e doppi
L’atmosfera perbenista da “soap opera” (ennesimo ed evidente rimando all’infanzia provinciale di Lynch) che si respira nel paesino di Twin Peaks, sperduto tra i monti del Nord-Ovest americano, è brutalmente scossa dall’omicidio di una ragazza il cui nome è ormai celeberrimo: Laura Palmer. Interviene sul posto l’agente dell’FBI Dale Cooper, personaggio bizzarro interpretato ancora una volta da Kyle MacLachlan, che si riconferma come una sorta di alter ego del regista: l’investigatore pratica la meditazione trascendentale, uno dei suoi principali interessi è la cultura tibetana, ha una spiccata passione (se non una autentica dipendenza) per il caffè nero e le torte di ciliegia, e svolge le indagini affidandosi… ai sogni. L’attività dell’agente Cooper, coadiuvato dalla polizia locale, riporta a galla molti torbidi e inquietanti segreti legati agli abitanti di Twin Peaks e a ciò che si cela dietro le origini stesse della cittadina. Lo stesso Cooper, pacato e gioviale, porta con sé dei lati oscuri che dovrà affrontare entrando in contatto con le misteriose presenze di Twin Peaks.
La musica di Badalamenti e il suono lynchiano
Un grande tocco atmosferico è dato dai temi musicali avvolgenti e inquietanti di Angelo Badalamenti, da qui collaboratore fisso di Lynch, che vanno ad affiancare i proverbiali fruscii e mormorii di sottofondo che si possono riscontrare ad un attento ascolto in pressoché tutti i film del regista (e che sono un po’ meno ricorrenti e ossessivi forse proprio in Twin Peaks).
Il mito di Twin Peaks tra cinema, televisione e occultismo

La ricchezza degli spunti e delle sottotrame di Twin Peaks è talmente vasta che, come accennato, il telefilm viene riguardato, studiato e osannato da più di un trentennio. Considerando anche il film Fire walk with me (Twin Peaks – Fuoco cammina con me, un’opera lynchiana a modo suo molto diversa dal telefilm), uscito nei cinema nel 1992, che racconta le vicende di poco precedenti il delitto di Laura Palmer, e l’attesissima terza stagione realizzata vent’anni dopo, la serie è in assoluto una delle opere più complesse e (in tutti i sensi) misteriose nate dalla mente di Lynch (e di Mark Frost, che, tra l’altro, portò alla storia idee influenzate dalle dottrine occultistiche della Società Teosofica). Per dirla con l’acuta espressione del compianto romanziere poliziesco Andrea G. Pinketts (1961-2018), Twin Peaks è stato il limite allo stesso tempo valicabile e invalicabile per tutte le serie televisive successive.
Cuore selvaggio, Strade perdute e le nuove derive del noir
Lynch toccherà nel corso degli anni Novanta altre punte “estreme” del suo cinema con Cuore selvaggio (Wild at heart, 1990) e Strade perdute (Lost Highways, 1997), nuove riletture oscure e lynchiane del noir (non più) classico, senza dimenticare la collaborazione a Hotel Room, film televisivo a episodi su un albergo in cui accadono, ovviamente, fatti inquietanti e inspiegabili.

Una storia vera: il lato poetico di David Lynch
Nel 1999, Lynch stupisce ancora una volta girando il toccante Una storia vera (The Straight Story), una produzione Disney (!!!) che racconta la vicenda del contadino Alvin Straight, dello Stato dell’Iowa, che attraversò a bordo di un tosaerba ben tre Stati per andare a riconciliarsi con il fratello con il quale aveva litigato anni prima.
Un grande film, in cui i vasti panorami rurali del Midwest americano (con i loro cieli stellati, e, naturalmente, i proverbiali fruscii e ronzii tanto cari al regista!) vengono resi dalla cinepresa lynchiana con una certa insondabile poesia.
L’ultima opera cinematografica: Inland Empire (2006)
Si può dire che l’ultima opera cinematografica vera e propria di David Lynch è stata Inland Empire, che vede la luce nel 2006 e rimette in scena alcuni degli attori storici che hanno reso grande la sua carriera, come Laura Dern e Harry Dean Stanton.
Film apparentemente del tutto caotico, sostanzialmente incomprensibile, più inquietante e “lynchiano” che mai, forse l’unica cosa sensata che si può affermare a riguardo di Inland Empire (che, tanto per cambiare, spiazzò pubblico e critica) è il suo essere una personalissima riflessione meta-filmica sulla magia del cinema (come già avveniva nel penultimo film di Lynch, Mulholland Drive del 2001) e su quanto possa essere profondo e simbiotico il legame che gli attori instaurano con i ruoli interpretati.
Il ritorno a Twin Peaks e l’eredità culturale
David Lynch conclude la sua multidimensionale carriera con la terza e attesissima stagione di Twin Peaks uscita nel 2017, che riesce a sorprendere ancora una volta cultori di vecchia data e fans neofiti. Negli ultimi anni, il regista aveva anche aperto un suo canale Youtube, il David Lynch Theatre, a tutt’oggi seguitissimo, che funzionava perlopiù come un notiziario radio in cui il Nostro rivolgeva agli spettatori simpatici monologhi conditi con surreale umorismo, oltre che a proporre brani musicali di sua composizione.
La dissolvenza finale
Poi, l’enfisema contro cui Lynch lottava da anni (per sua stessa ammissione, procurato dal suo accanito tabagismo) ha purtroppo avuto la meglio, e la dissolvenza in nero è calata su uno dei registi più amati e controversi degli ultimi decenni, il cui cinema ha saputo fare arrovellare come pochi altri.
E oggi, a maggior ragione, l’unica cosa chiara (…?) che apprendiamo riguardando i suoi surreali e inimitabili film (o gli episodi di Twin Peaks, magari sorseggiando una bella tazza di caffè), è che il fuoco ha camminato con lui.
Jari Padoan (con la collaborazione di Niccolò E. Maddalon)
Approfondimenti:
Riccardo Caccia, David Lynch, Il Castoro cinema, Firenze 1993
Andrea Parlangeli, Da Twin Peaks a Twin Peaks. Piccola guida pratica al mondo di David Lynch, Mimesis / Cinema, Sesto San Giovanni 2015
Enrico Petrucci, Da “Elephant Man” a “Twin Peaks”. La morte di David Lynch, genio dell’Immaginario, in Dimensione Cosmica n.30, primavera 2025, Solfanelli / Tabula Fati, Chieti 2025
Canale Youtube di David Lynch Theatre: https://www.youtube.com/c/davidlynchtheater