Quanto siamo liberi di essere liberi?

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Liberi di agire, di parlare, di pensare, di potere. Liberi di volere, di immaginare, di conoscere. Ma tutta questa nostra libertà, dove finisce esattamente? E dove inizia quella dell’altro? Poeti, artisti, filosofi e scrittori di ogni genere hanno sempre sentito la necessità di interrogarsi su questo concetto, urgente e indefinibile al tempo stesso, a partire dal quale oggi come allora combattiamo gli ostacoli che ci separano da ciò che vogliamo, otteniamo i diritti che ci spettano, rivoluzioniamo le nostre società.

Una cosa però va detta. Come ogni concetto, anche la libertà si misura a partire dal suo “opposto”. Questo perché nessun pensiero della libertà sarebbe possibile se noi ci pensassimo già totalmente liberi, e nessuna necessità di definirla si avvertirebbe se non avessimo qualche ostacolo che la limita.

Così, sono i vincoli che ci “limitano” a rendere possibile il desiderio di creare uno spazio di azione e di pensiero in cui l’esercizio della mia libertà non venga violato. È facile notare che la nostra libertà, nonostante il sistema democratico in cui viviamo, sia spesso soggetta a vincoli di ogni sorta. Cosa che si traduce nell’esigenza sempre più sentita di dar spazio alla nostra voce per un maggiore riconoscimento dei nostri diritti. Questo perché siamo convinti che solo nel momento in cui togliamo tutto ciò che ci è d’ostacolo possiamo considerarci effettivamente “liberi”.

Ma siamo sicuri che questo sia l’unico modo di pensare ai limiti della libertà? Certamente, il sistema democratico ha fatto passi da gigante, in questo senso, e sempre più individui hanno potuto alzare la voce e vedersi riconosciute le libertà che gli spettano. Eppure, il fatto che non abbiamo smesso di interrogarci sul nostro essere soggetti liberi, ci fa pensare che tutta questa libertà tutto sommato non l’abbiamo raggiunta.

Forse allora è proprio una visione distorta della libertà che “mina” la libertà stessa. Come una manna venuta dal cielo, abbiamo accolto lo spazio democratico, come uno spazio di assoluta assenza di costrizioni, confondendo la libertà con il potere di dire e fare tutto. Cosa che non fa altro che rendere altri soggetti non liberi.

E così si può notare che i limiti non sono solamente quelli che vengono imposti dalla società e dagli individui, ma sono soprattutto i limiti che la libertà stessa impone. Infatti, se non ci fossero limiti che l’esercizio della libertà richiede, questa si tradurrebbe in “essere liberi di fare ciò che si vuole”.

La libertà vera e propria, invece, non si può ridurre a uno spazio illimitato di potenzialità privo di ogni responsabilità. La libertà stabilisce anche dei limiti all’uso della propria volontà di essere liberi. Se noi non riusciamo a creare uno spazio in cui l’esercizio libero non venga limitato e regolato con precisione, la libertà non si trasformerebbe in governo di sé che rispetta l’altro, ma in mera potenzialità che assoggetta la libertà dell’altro.

Questa autonomia può quindi essere realizzata solamente nel momento in cui sviluppiamo un preciso rapporto con noi stessi (e con l’altro) che deriva dalla nostra capacità di auto-governarci, di imporre leggi a noi stessi. E proprio per questo la libertà implica uno sforzo, del tutto personale e autonomo, entro però i limiti di ciò che effettivamente ci è concesso dal nostro essere razionali, e dunque liberi.

E allora, entro tali limiti, ripropongo la domanda: dove esattamente finisce la mia libertà e inizia quella dell’altro?

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