Intervista doppia a Matilde e Stefan

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“Stefan e Matilde sono partiti all’età di 16 anni per trascorrere un anno di studio all’estero seguiti passo passo dai volontari dell’associazione Intercultura. Due esperienze diverse ma accomunate da uno stesso scopo: comprendere il mondo e costruire un mondo di pace.”

Presentati.

M – Sono Matilde Spessotto, ho diciotto anni e sono stata in Lettonia l’anno scorso.

S – Mi chiamo Stefan Ciuca, ho diciotto anni e sono stato negli Stati Uniti per dieci mesi, nello stato del Minnesota con Intercultura.

Com’era la tua famiglia ospitante? Come ti trovavi con loro?

M – La famiglia ospitante penso sia stata la cosa più importante nella mia esperienza, infatti è stato amore a prima vista. Qui in Italia sono la più piccola, mentre lì mi sono ritrovata ad essere la sorella maggiore e ho dovuto imparare ad esserlo. Non è solo la famiglia che mi ha ospitato, ormai sono parte della mia famiglia.

S – La mia famiglia ospitante era composta dai miei due genitori ospitanti e da mio fratello, Ben, che ha la mia età. Avevo anche due fratelli più grandi, che vedevo di meno, perché vivevano altrove. Andavo molto d’accordo con i miei genitori, ma non tanto con mio fratello, però abbiamo comunque passato dei bei momenti assieme!

Ho ancora contatti con la mia famiglia ospitante e adesso che vivo di nuovo negli States abitiamo anche piuttosto vicino.

Come ti sei trovato con la lingua? È stato difficile impararla?

M – Imparare la lingua è stato abbastanza difficile, i primi due mesi andavo a dormire molto stanca.  Però è stato questo il bello, perché era come se ci fosse sempre una sfida tra me e me stessa ad imparare una lingua nuova e tanto diversa. Certo, all’inizio poteva capitare che mi sentissi un po’ esclusa perché non capivo la lingua, ma col tempo ho capito che bastava reagire e provare a buttarsi.

S – L’inglese lo sapevo già un po’, anche se non a livello avanzato. Sapevo comunicare, ce la facevo, ma all’inizio della mia esperienza ricordo che ero in macchina con la mia mamma e il mio fratello ospitante e per i primi dieci minuti non ho capito nulla. Lo slang e l’accento era piuttosto diverso, però direi che in un mese sono riuscito a migliorare. Non penso sia stato difficile integrarmi, né per la lingua, né per altro… ovviamente non puoi aspettare che siano gli altri a farsi sotto, devi essere tu a metterti in gioco.

E della scuola cosa mi dici?

M – Il sistema scolastico è completamente diverso. Hanno l’impronta russa e sono molto improntati alla matematica, le scienze, infatti erano tutti molto portati per l’ambito scientifico. Le lezioni durano quaranta minuti e di solito ci sono dieci minuti di pausa per cambiare aula. Verso le 11 o 11:30 c’è una pausa di altri quaranta minuti per il pranzo. Quando c’è una verifica scritta, dove la sufficienza è di 4/10, al pomeriggio se hai preso insufficiente e vuoi rifarla puoi ripetere la prova e scegliere il voto che preferisci, in questo modo lo studente è motivato a fare meglio! Una cosa che mi ha colpita molto e mi ha fatto riflettere è il fatto che sono molto legati all’idea dell’Unione Europea, ci tengono davvero tanto.

S – La scuola è molto diversa: non abbiamo il sabato, i professori restano in classe e sono gli studenti che devono cambiare aula. Il sistema scolastico in sé è migliore, usano molto la tecnologia, non ci sono libri fisici. È molto più interattiva, gli insegnanti cercano di coinvolgere sempre gli studenti.

Lo sport è decisamente la cosa più importante nella vita degli americani, dedicano molto più tempo allo sport, ma non solo: anche ai musical, al teatro, ai corsi di cultura generale.

La scuola mi è davvero sembrata come quella dei film, per certi versi!

Il fatto che non ci sia una sola classe specifica mi è piaciuto molto, significa poter conoscere molte più persone!

Perché hai scelto proprio il tuo paese ospitante?

M – Ho scelto di inserire anche la Lettonia nella lista delle mie destinazioni perché mi ero letta la loro storia e mi aveva decisamente affascinata! Sono un popolo così legato alla loro cultura e alla loro storia, tanto che ho finito per appassionarmi anche io a questa cultura. Per fortuna ho vinto la borsa di studio proprio per questo paese!

S – Ho scelto gli Stati Uniti perché già da piccolo mi ero innamorato della loro cultura, mi piaceva l’idea di parlare inglese e di fare tutti gli sport che fanno qui. La mia esperienza si potrebbe definire il sogno americano! Gli States erano la mia prima scelta, tanto che quando l’ho scoperto ho pianto.

Qual è stato, secondo te, il momento più bello del tuo anno all’estero?

M – Lì festeggiano la fine dell’inverno, con il solstizio d’estate, quando c’è solo un’ora o due di buio, questa festa si chiama jāņi (letto iaagni) ed è la festività più importante che hanno. Si festeggia dalle otto di mattina del 23 giugno, fino al giorno dopo. Si preparano corone di fiori di campo per le ragazze e di foglie per i ragazzi, ci si veste di chiaro, con vestiti lunghi e dai motivi floreali. Ci si diverte molto, si va a nuotare, si fanno giochi tipici; è davvero molto bello. Alcuni miei amici mi hanno anche fatto una sorpresa venendomi a salutare prima della mia partenza, mi sono sentita davvero amata ed importante per tutti loro!

S – Tra tutte, penso l’esperienza della high school in generale: le partite di football, l’homecoming e il prom. Un ricordo molto bello che ho potrebbe essere quando ho fatto parte di uno spettacolo, il musical “The sound of music” (in italiano è stato tradotto “Tutti assieme appassionatamente”), che era molto legato anche alla religione. È un’esperienza nuova tutta quella dello spettacolo in sé, mi è piaciuta davvero tanto. A me non piaceva ballare e cantare, prima, ma mi sono di certo ricreduto. È stata anche un’occasione per vedere tante delle sfaccettature che ha la cultura americana.

Chi era il più contento di vederti partire nella tua famiglia italiana?

M – Mio papà era davvero entusiasta di vedermi partire, la vedeva come una possibilità di crescita. Mi ha detto che mi vedeva pronta per quest’esperienza e che avrebbe solamente potuto arricchirmi.

S – Mia mamma, sicuramente. Anche lei è appassionata a tutta la cultura americana e sperava davvero che io potessi andare negli Stati Uniti.

Hai mai avuto nostalgia di casa? C’è una cosa che ti è mancata particolarmente?

M – All’inizio non avevo molta nostalgia, quando sei in un contesto simile sei molto preso dall’esperienza, quindi te ne dimentichi anche. Il periodo in cui ho avuto più nostalgia è stato quello di Natale e Capodanno, perché non l’abbiamo passato tanto bene, eravamo tutti ammalati e la mia famiglia ospitante non festeggia molto il Natale. La cosa più divertente è stata andare a prendere l’albero nel bosco. Le persone lì sono molto riservate ed era un po’ difficile alcune volte dialogare. Mi mancava quindi a volte il calore degli italiani.

S – Ho avuto nostalgia le prime due settimane, ma poi mi sono abituato. Il Natale, le festività, sono state molto difficili anche per me: vedevo tutti riuniti e mi mancava la mia famiglia biologica. Mi mancavano soprattutto le piccole cose come cenare tutti assieme, ad esempio. La mia famiglia in particolare non cenava mai assieme, tutti cenavano ad orari diversi, questa cosa mi mancava molto. Anche il cibo italiano mi è mancato molto.

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