Il soggetto dietro al disturbo

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“Io non sono nata”

Il disturbo alimentare, come afferma il Dr Mendolicchio, nel testo “Il peso dell’amore”, è come un impermeabile che ti protegge dai traumi e dalle tempeste della vita, ma a volte lo si stringe così stretto che da protezione diventa causa di morte. Esso è uno scudo che protegge il soggetto da tante cose: abusi, traumi, bullismo, senso di fallimento, paura di crescere, paura di fallire e soprattutto paura della relazione con l’altro. Spesso diventa una nuova identità che consente al soggetto di sconnettersi dalla propria, a volte il soggetto originario è da così tanto tempo nascosto dietro il sintomo che quasi non ricorda più chi è. Lo scritto che segue è una testimonianza, molto preziosa, di una giovane donna che ha la sensazione di non essere mai nata e che l’unica forma di vita possibile che ha conosciuto è stata il disturbo alimentare.

Io non sono nata.

Mi sento così, come il titolo di questo breve tema, saggio, scritto… sfogo.

Non so chi sono, non mi conosco. Conosco il dittatore che vive dentro di me da chissà quanto, che mi comanda, che mi dice cosa devo e non devo fare. Quel dittatore che devo ascoltare per poter vivere la giornata, perché altrimenti sono guai, per non avere sensi di colpa, o almeno per alleviarli, perché quelli si sa: ci sono sempre.

L’ho capito da poco, prima non lo realizzavo. Io davvero non ho una personalità: anni e anni a portare una maschera, a fingere di essere qualcuno che non sono e che forse nemmeno mi rappresenta né mi appartiene. Tempo sprecato a risultare perfetta in tutto e per tutti, in ogni occasione: a scuola, a casa, nel tempo libero… nel tentativo di compiacere e di piacere agli altri, di modellarmi sulle aspettative degli altri. Con il risultato che mi sono sempre tradita e presentata come la “perfettina” della situazione, così priva di personalità.

Non so cosa mi piace veramente, cosa mi fa stare davvero bene e cosa male e a pensarci mi viene da ridere, ma non so fare nemmeno la mia firma, mi trema sempre la mano quando devo farlo. Forse farei meglio a firmarmi come “anonimo”.

Fenomeno della desiderabilità sociale? 

No, direi piuttosto scudo protettivo.

Una sicurezza nel mare di incertezze in cui mi sono imbarcata sin dal primo giorno di vita.

Che poi, di vivere nemmeno me lo merito, di essere nata ancor meno. 

E quindi, cerco di sparire, di non farmi vedere o almeno di non farmi vedere per quel che sono realmente, forse per paura di non piacere o forse per paura di occupare un posto nel mondo, insomma di esistere…

Quale arma migliore? Che cosa può soddisfare questo tenebroso desiderio di risultare invisibile? 

Ma certo, il mio disturbo alimentare, l’anoressia.

E, paradosso dei paradossi, anziché farmi risultare invisibile mi fa notare ancora di più, soprattutto agli occhi di mia mamma. 

Visite, preoccupazioni, ricoveri, cuore che può arrestarsi.

O forse è questo il mio desiderio? Ebbene sì, sparire e farmi notare. La stessa ambivalenza che lei ha messo in campo nei miei confronti, la stessa ambivalenza che ha portato al nostro legame così simbiotico da essere tossico… un affetto che può essere letale: se l’amore va oltre i confini, allora si tramuta in odio.

Perché lo sappiamo che l’obiettivo primario non è perdere peso, non è “essere belle”, questa è solo una faccia che il disturbo alimentare indossa per continuare a celare una ferita più profonda che nemmeno noi conosciamo, ma che dobbiamo far venire a galla per salvarci e non affondare, insomma, l’anoressia è solo un sintomo, la punta dell’iceberg.

Invasione di confini, un legame che diventa predatore, che ci toglie spazio, che ci depotenzia; in sostanza, nell’amore tossico i confini sono perturbati, abbattuti nell’invasione simbiotica dell’amore assoluto, oppure irrigiditi, invalicabili ed espulsivi, nell’abbandono.

Esiste una strana equivalenza tra simbiosi e abbandono, inteso anche come indifferenza, distacco, noncuranza.

Però l’ho capito: devo liberarmi dalla tossicità di questa relazione claustrofobica. Perché ho pensato, ne vale la pena? Il rischio è quello di morire soffocata.

Concludo così, ribadendo quanto detto sopra: un disturbo alimentare non è mai solo un disturbo alimentare.

La fame di vita, purtroppo, a volte si ribalta in controllo della fame per paura di una fragilità vissuta solo come limite e non come slancio. 

Riflettete, riflettiamo: noi non siamo un peso. Noi abbiamo diritto di nascere.

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