Alternanza Scuola-Lavoro, esperienza utile?

0
800

Il 15 aprile 2015 un decreto legislativo siglava come obbligatorio il percorso di alternanza scuola-lavoro [ora PCTO, Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento], progetto di didattica innovativa introdotta già dal 2003 che prevede l’inserimento degli studenti frequentanti scuole superiori e istituti tecnici per brevi periodi di “stage” in realtà aziendali. L’obiettivo dichiarato dell’iniziativa è di offrire un’esperienza pratica che “aiuti a consolidare le conoscenze acquisite a scuole e testare sul campo le attitudini dell’individuo, arricchendone la formazione e orientarne il percorso di studio e, in futuro, di lavoro.” 

Tutto ciò naturalmente è quanto sta sulla carta. Ma in realtà come funziona davvero? Il mondo adulto non abitualmente coinvolto in faccende accademiche non sente granché parlare dell’ambizioso progetto scuola-lavoro se non quando accade il fattaccio che finisce sui media, puntando i riflettori sul tallone d’Achille del fattore sicurezza sul lavoro. La sinistra ombra lunga che gettano questi episodi fa perciò facilmente perdere di vista il lato positivo dell’iniziativa.  

Si pensi che, solo vent’anni fa, i giovani affrontavano, per lo più, un qualsiasi percorso di studi, solitamente basandosi sul sentito dire, attratti magari dal vago mito di certe professioni, viaggiando quindi alla cieca fino all’agognata laurea per poi imbarcarsi in avventure lavorative a scatola chiusa: poco o nulla si sapeva di quel che ci si poteva aspettare una volta varcata la soglia del misterioso “mondo del lavoro”.

C’entravano qualcosa il percorso di studi, i tanti tomi digeriti, il famoso “pezzo di carta”, con quel che si sarebbe fatto dopo concretamente, giorno dopo giorno? In molti casi, diremmo proprio di no. Anzi, serviva sperimentare la vita nella giungla per un bel po’ di tempo prima di orientarsi e capire che strada imboccare da grandi. Di qui anche le periodiche invettive sul volo pindarico che si viveva sulla propria pelle passando dalla fin troppo teorica realtà accademica al “terra terra” spoetizzato del mondo del lavoro. In quest’ottica, un qualsiasi percorso di studi più approfonditi scelto senza un’adeguata consapevolezza e conoscenza poteva facilmente basarsi su pregiudizi e pericolose illusioni: in definitiva, un po’ come giocare alla roulette russa, quando alla base stiamo parlando della propria realizzazione personale che include quella professionale.

Per contro, sono veramente sufficienti 10 giorni trascorsi in un’azienda, magari confinati ad uno specifico reparto, per capire l’essenziale? E magari “mettere in pratica le conoscenze acquisite a scuola”? Siamo realisti: in verità no, sarebbe velleitario anche crederlo, considerando che ad un adulto professionista servono mediamente almeno 6 mesi per orientarsi e un buon anno prima di sentirsi “sul pezzo”.

Tuttavia, l’esperienza aziendale presa in “gocce omeopatiche” può trasmettere in primis quelle giuste intuizioni e sensazioni se quell’ambito possa un giorno fare al caso nostro. E questo, davvero, non è affatto poco per prevenire futuri errori strategici nelle prime, importanti scelte di vita.

Illuminante, in tal senso, una recente chiacchierata con uno studente al quarto anno di un istituto agrario della provincia, alla sua quarta esperienza di stage presso un’importante multinazionale nel settore agroalimentare.

Approdando da realtà bazzicate negli ultimi stage di dimensioni più ridotte e in altri settori (dalla stalla all’azienda florovivaistica, al caseificio e infine ai surgelati), G. ha potuto avere innanzitutto la percezione delle diversità non irrilevanti di strutture e dinamiche aziendali per farsi meglio un’idea sul fatto che ciascuna azienda è come un microcosmo molto diverso dalle altre: riuscire quindi a comprendere e ad adattarsi alle logiche dell’ambiente in brevissimo tempo sono una competenza che trascende le conoscenze tecniche per compiere le mansioni assegnate ma non meno cruciali nel determinare il successo del singolo e della squadra di lavoro (tra le famose “soft skills”, asso nella manica dei vincenti).

Ancor più importante, essere esposti ad un ambito specifico di lavoro può far velocemente aumentare e consolidare la consapevolezza sui propri talenti e profondi desideri. G., per esempio, ha riferito sicuro di sé che, pur essendo stata un’esperienza positiva, nei soli 10 giorni trascorsi ha fatto ancora più chiarezza interiore sul fatto che la vita d’ufficio non è la sua massima aspirazione ma che andrà invece dove lo porta il cuore: ovvero vivere a contatto con la natura e perseguire quindi una carriera che gli consenta di concretizzare questo desiderio.

Riuscire a raggiungere anche solo questo tipo di consapevolezza a 17 anni, oggigiorno, è qualcosa di semplicemente straordinario e conferma la validità di questo tipo di percorso, pur tenendo conto di aspetti che, nel tempo, andranno sicuramente perfezionati.

Prof.ssa Monica Costantini

Previous articleStanchezza di fine anno
Next articleScelti per voi

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here