La società della violenza

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Lisa Mazzero (Classe 5^ D Gec – Istituto “A. Palladio” di Treviso)

Ad oggi, 16 Dicembre 2021, possiamo di certo affermare che il numero dei femminicidi in Italia sia in crescita rispetto allo scorso anno (+8% i dati di Novembre). Ma non sono solo le cifre riguardanti la violenza nel suo atto più estremo, l’omicidio, ad aumentare, ma anche i dati delle sue molteplici sfaccettature.

Vi è la violenza economica, che consiste nel rendere la donna finanziariamente dipendente dal partner, costringendola ad abbandonare il lavoro, a non poter accedere liberamente ai soldi, così che si ritrovi in una situazione che la obbliga a rimanere succube del compagno, non riuscendo a vedere una vita dignitosa se non con lui.

La violenza psicologica, che può essere attuata in famiglia o meno: si tratta di tutti quei casi nei quali la donna viene insultata o denigrata in quanto tale.

Quella sul lavoro, che varia dalle molestie fisiche a quelle verbali da parte di capi, colleghi, oppure clienti, e che le donne spesso sono “costrette” ad accettare silenziosamente per poter accedere ad un diritto fondamentale come quello di poter avere un impiego.

Lo stalking, una forma di violenza molto diffusa che rappresenta anche una tortura psicologica, in quanto la vittima si sente costantemente seguita e in pericolo.

Poi la violenza sessuale, spesso sminuita o giustificata (come, del resto, le altre): la colpa viene sempre data alle vittime, che sia stata una “toccatina” senza alcun consenso, o uno stupro. Recente il caso della giornalista sportiva palpeggiata da un tifoso mentre si trovava fuori dallo stadio per un collegamento in diretta. “Non pensava fosse grave”, “Era travolto dalle emozioni della partita”: queste le giustificazioni e i commenti di alcuni utenti sui social; poi una miriade di articoli ed interviste su di lui: “La mia vita è rovinata. Chiedo scusa, ho anche una figlia” le sue parole.

Ed è anche a causa di questo tipo di comunicazione che le violenze dilagano sempre di più, tanto in fin dei conti la colpa è sempre un po’ della donna. “Se l’è cercata”, “Lo avrà portato all’esasperazione”, “Lei lo aveva rifiutato, si era resa irraggiungibile”.

Ed è anche da questi fatti che capiamo come la legge non basti da sola, o meglio non è sufficiente se rimangono un mucchio di parole che non trovano reale applicazione.

Penso alle donne che dopo aver denunciato e chiesto sostegno, vedono cadere tutte le accuse e si trovano a dover fuggire, mentre l’aguzzino rimane libero.

In terza media ho letto un romanzo ambientato in Afghanistan, “Mille Splendidi Soli” di Khaled Hosseini, in cui è raccontata la storia di due donne sposate con lo stesso uomo violento, le quali dopo l’ennesima lite, lo uccidono; dopodiché una di loro scappa, l’altra resta nella casa ad aspettare l’arrivo dei talebani e della sua condanna. Una storia di fantasia, che però racconta ciò che succede realmente in un paese in cui la donna non ha alcun diritto.

Qui in Italia invece su carta i diritti li abbiamo, ma purtroppo la situazione, sebbene sia meno estrema e tragica, non è del tutto diversa.

La donna nelle situazioni di violenza deve scappare e risolvere il problema da sé perché non sempre la legge la protegge come vittima, e questa è l’unica possibilità che ha per smettere di esserlo.

Non solo nel caso di violenza fisica la legge non funziona veramente. Basti pensare al “gender gap”, ovvero la differenza di retribuzione tra uomo e donna, a parità di lavoro. O, sempre nel campo lavorativo, alle minori possibilità per una donna di essere assunta dopo che le è stata posta la domanda (illegale durante un colloquio di lavoro): “Vorrebbe avere dei figli?” che ad un uomo non viene posta.

Pensiamo poi alle numerose forme di violenza, nate con i social e la diffusione di Internet, come il revenge porn, ovvero la condivisione di foto intime senza il consenso della persona ritratta, i cui autori sono spesso difficilmente rintracciabili e denunciabili; in questi casi non vi sono molte possibilità di arginare la diffusione del materiale, “ciò che è su Internet rimane”. E la legge non è ancora pronta per questo tipo di situazioni, che lasciano la vittima tale per sempre. Anche da queste mancanze si delinea pian piano una sempre più grande disparità.

Non si può nascondere, la violenza la viviamo fin da piccoli essendo circondati da stereotipi che fanno “cadere” in questo sistema maschilista anche i più imparziali. L’uomo deve essere forte e senza sentimenti, la donna bella e accondiscendente. Quando però lui in preda all’ira, non sapendo gestire le proprie emozioni in modo costruttivo, sfoga tutto con la violenza, e la donna la subisce impaurita e attribuendosene le colpe, tutti se ne meravigliano: “Non lo avevo mai visto perdere la calma, aveva sempre la situazione sotto controllo”.

Non ci rendiamo conto di come tutte le piccole gocce di maschilismo che ci colpiscono pian piano siano un problema, fino a che non scoppia una tempesta, che dimentichiamo subito dopo. Pensiamo che il problema sia solo la violenza nelle sue forme più gravi e che basti starci lontano per non entrare nella questione. Non è così, e solo credendolo siamo già parte del problema.

Dobbiamo smettere di utilizzare quelle espressioni denigratorie che sono rivolte solo alle donne, quei modi di dire che con una falsa ironia alimentano stereotipi legati ad esse.

Dobbiamo ascoltare chi ci circonda e denunciare se sentiamo di situazioni problematiche; dobbiamo informare e far rendere conto tutti di come il problema possa partire anche da piccoli “campanelli d’allarme”.

Non dobbiamo più ignorare il problema.

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