Ecco un riassunto dei criteri diagnostici del disturbo dello spettro dell’autismo contenuti nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, American Psychiatric Association, 2013):
A. Deficit persistente della comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti;
B. Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi;
C. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo (ma possono non manifestarsi pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate, o possono essere mascherati da strategie apprese in età successiva);
D. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti;
E. Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro dell’autismo spesso sono presenti in concomitanza; per porre diagnosi di comorbilità di disturbo dello spettro dell’autismo e di disabilità intellettiva, il livello di comunicazione sociale deve essere inferiore rispetto a quanto atteso per il livello di sviluppo generale.
Tutto ciò si può, più semplicemente, riassumere così: un bambino che rientra nello spettro dell’autismo presenta deficit sociali, comunicativi, interessi e attività ristrette e ripetitive.
Di fondamentale importanza sono diagnosi (attorno ai 2 anni e mezzo) e intervento precoce.
Tra gli interventi più accreditati troviamo quelli di matrice comportamentale, in particolare l’ABA – Analisi del Comportamento Applicata. Questo tipo di intervento è presente nelle linee guida 21 dell’OMS ed è tra i più efficaci per il trattamento dei disturbi dello spettro dell’autismo, oltre che per i problemi comportamentali.
Ma l’autismo è molto di più di tutto questo. Innanzitutto è un bambino o un ragazzo. È sofferenza, tanta e terribile. È fatto di piccole conquiste che ai tanti sembrano perlopiù insignificanti, ma che in realtà sono importantissime. È avere compromissioni sociali, ma questo non vuol dire non volere degli amici. È avere comportamenti senza senso, o molto probabilmente siamo noi a non riuscire a dar loro un senso. È mancanza o scarsità di comunicazione: non significa che non possiamo insegnarla.
A volte durante le ore di terapia mi fermo un attimo e guardo il bambino che ho davanti negli occhi: sono gli stessi occhi sfuggenti che fanno fatica ad agganciarsi a quelli degli altri, sono gli occhi che si fissano sui dettagli e non sull’intero, ma sono anche tra gli occhi più profondi che io abbia mai visto. E come descrivere l’immensa emozione che si prova quando quegli occhi ti guardano e ridono? È proprio in questi momenti che io non sono più psicologa/insegnante/terapista/analista del comportamento: i ruoli si invertono e io divento l’allieva a cui viene spiegato che la comunicazione non è solo linguaggio e che a volte il messaggio più profondo è oltre la parola.
È facile insegnare a un bambino che impara da solo; insegnare a un bambino che non apprende nulla in maniera naturale è una sfida, una scommessa e una promessa: quella di non mollare e di tentare tutte le strade per migliorare la loro qualità di vita e quella delle loro famiglie.
Dott.ssa Jessica Visentin
Psicologa Albo Veneto n.10719
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