Un bambino appena nasce non ha ancora sviluppato un pensiero logico, fino a 4/5 mesi pertanto non è in grado di finalizzare il suo comportamento ad un obiettivo specifico. Il suo unico modo di esprimersi è il pianto e lo utilizzerà per farsi capire. Il problema è che siamo noi, che spesso non siamo in grado di comprenderlo. Quindi etichettarlo come un bambino capriccioso o “se lo tieni in braccio lo vizi”, non è pertinente.
“Sono scomodo, devo digerire e mi stai tenendo disteso. Alzami!” oppure “guarda che sono sporco devi cambiarmi” , etc. sono tutti esempi di come un bambino potrebbe trovarsi e per farsi capire non ha alcun modo di farlo se non attraverso il pianto.
Tenerlo in braccio i primi mesi NON VIZIA il bambino, ma bensì lo rassicura, gli fa sentire che la sua mamma è lì, che lo protegge. Dobbiamo pensare che per nove mesi il bambino è rimasto dentro la pancia della mamma e bastava una manina o allungare un piedino per sentire il confine e sentirsi avvolto. Quando nasce tutto questo finisce e affinché non sia traumatico, per il bambino ma anche per la sua mamma, è fondamentale che avvenga un distacco graduale, in base alle esigenze di entrambi.
L’attivare tutta una serie di azioni esterne affinché faccia una determinata cosa, ad esempio, per farlo dormire, inizio a camminare, credo di dover stare in piedi, devo muovermi in su e in giù, dondolarlo, fargli fare il giro in macchina, passeggiare in carrozzina, etc… (ne ho sentite veramente tantissime) crea realmente un vizio, generato però dal genitore non dal bambino. In questo caso, visto che il bambino non è uno sciocco ma percepisce benissimo che dopo un’azione seguirà un effetto, semplicemente si abituerà.
E’ giusto ribadire però che non è il bambino che lo ha richiesto, bensì il genitore che lo ha strutturato. Ad esempio per i più grandicelli, abituarli ad addormentarsi con qualcuno affianco, diventa una modalità di comportamento che come genitore ho attivato e della quale, ad un certo punto, non riesco più a fare a meno. Risultato: genitore sfinito, coppia che dorme su letti diversi, poca gratificazione per il bambino che non diventerà autonomo.
Non tutti i giorni sono uguali, pertanto, si può anche innescare alla fine un atteggiamento di fastidio, a cui si risponde con malavoglia. Il bambino può diventare più ansioso o addirittura innescarsi una paura di perdita. Spesso questa modalità di addormentamento dipende dalle paure e dalle ansie del genitore stesso. Riuscire a farcela da soli invece è un’importante tappa per qualsiasi bambino, evitiamo di privarlo di essa affinché diventi un adulto autonomo.
Un genitore normalmente attento fornisce al figlio una base sicura da cui egli può partire per esplorare e a cui può far ritorno quando è turbato o spaventato.
Si è osservato che i bambini, a cui i genitori rispondono con sensibilità e un conforto corporeo, sono quelli che rispondono più prontamente e nel modo più appropriato alle sofferenze altrui. Aiutare e confortare gli altri quando sono addolorati è uno schema di comportamento che si sviluppa intorno ai due anni ma la forma assunta da tale schema viene molto influenzata da come il bambino è trattato.
Gradualmente nasce l’esigenza di stabilire regole chiare nella famiglia che si rispecchieranno nella società, dove la costanza sembra essere la cosa più difficile, in un mondo in cui si preferisce pensare che tutto sia relativo e che nulla sia grave. In fondo non è grave non salutare, non è grave non lavarsi i denti, non è grave non dormire nel proprio letto, non è grave non chiedere scusa, etc… e visto che non è grave, non è neanche il caso che ci faccia entrare in conflitto con i figli.
Ritenere che il rapporto migliore con i nostri figli, sia quello senza confronto è una forma di violenza, perché lascia il bambino da solo ad affrontare le proprie pulsioni.
Nessuna cosa importante può essere o apparire semplice. Rodari scriveva che dobbiamo insegnare ai bambini a fare le cose difficili e non per essere cattivi ma, al contrario, per infondere speranza e severa fiducia in loro ed in noi, assunzione della responsabilità e fiancheggiarli in un processo di crescita che costruisca la loro identità, e verifichi la nostra.
Le famiglie devono recuperare su di sé la competenza genitoriale nello sviluppo dei bambini, affinché diventino dei modelli più che dei critici.
Riferimenti bibliografici:
Bowlby, Una base sicura, Raffaello Cortina Editore, 1988;
Thompson, Genitori che amano troppo, Mondadori, 2008;
Gordon, Genitori efficaci, Meridiana Edizione, 1997;
Crepet, I figli non crescono più, Einaudi, 2005
Dott.ssa Anita Avoncelli
Pedagogista