Cosa significa educare?

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La pedagogia è la scienza dell’educazione: attività tipicamente umana che, attraverso influenze e atti esercitati volontariamente da un individuo su un altro, tende a formare quelle disposizioni che corrispondono ai fini della società e della cultura in cui un soggetto vive.

Siamo a fine 800 quando Montessori, Decroly, Claparerède, avviano le prime procedure scientifiche di controllo sulle metodologie didattiche. Durkheim sviluppa il concetto di educazione come socializzazione, auspicando la collaborazione tra pedagogia e sociologia, visto che tutte le “pratiche educative”, qualsiasi esse siano, hanno in comune un aspetto fondamentale: esse sono tutte il risultato esercitato da una generazione sulla generazione che viene dopo, allo scopo di adattare quest’ultima all’ambiente sociale nella quale è chiamata a vivere.

Più recentemente la pedagoga Isabel Orejales parla di “buona educazione”, ovvero, l’insegnare a conoscere le proprie possibilità, a desiderare di crescere, ad accettare i limiti e le virtù in modo sano… in generale insegnare a vivere.

Forse però l’aspetto fondamentale non è tanto che cosa sia educare ma come farlo?

Qual è la strategia migliore o forse meno peggio. Capire la differenza tra educare e purtroppo “indottrinare”.

Il bambino già nei primi mesi di vita è assolutamente recettivo rispetto a ciò che lo circonda, per tanto, chi lo accudisce, deve tenere presente di averne cura attraverso il contatto, l’affetto, la rassicurazione, abbracciarlo, interagire con lui, esserci con lui. Crescendo però il bambino deve essere messo anche in condizioni di comprendere i limiti, i sacrifici (ormai cosa molto rara), il rispetto, quelli che una volta si chiamavano VALORI. Il successo nella crescita di un bambino avviene anche quando non lo si isola dalla sofferenza, quando non si è iperprotettivi, evitando di mentire e dire bugie che portano solo ad una mancanza di fiducia e alla squalifica di noi come genitori/educatori.

Riprendiamo a COMUNICARE con i nostri figli ma in generale con le persone, è la risorsa meno costosa ma in assoluto la migliore (e qui sarebbe interessante capire COME comunicare).

Rispettiamo i nostri figli e maggiormente le persone che ci stanno accanto, se vogliamo che i nostri figli lo facciano a loro volta. Riconosciamo e valorizziamo le qualità di nostro figlio.

Abituiamoci ed impariamo ad esprimere la nostra stanchezza, i nostri stati d’animo, perché così insegniamo ai nostri figli a esprimerli a loro volta, non si può essere sempre felici e la famiglia “Mulino Bianco” non esiste. Poter dire: “sono stanco, oppure, questa cosa non mi piace”, è fondamentale, gli insegna che è possibile anche trovarsi in questo stato d’animo e non c’è nulla di male. Impariamo a dire no e insegniamolo, perché gli permetterà anche di difendersi, rispettarsi e farsi rispettare.

Ricordiamoci di accogliere con un sorriso, di dire per favore e grazie. Basta poco. Non permettiamo che la violenza si insinui nella nostra quotidianità.

Ricordiamoci, inoltre, che Bambini siamo stati tutti e se qualcosa non ci è piaciuto, evitiamo di farlo ai nostri figli, anche perché essere genitori è difficile, nessuno ha un manuale in tasca, ma anche essere figli non è semplice.

Fonti:
Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, Torino, 1992.
Estevill e G. Pin, Il grande manuale per genitori, Mondadori, Milano, 2012.
Cismai, Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia, linee guida, 2001

Dr.ssa Anita Avoncelli
Pedagogista
www.educazionefamiliare.it

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