I bambini di fronte al lutto

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L’esperienza del lutto non riguarda solo la morte ma coinvolge molte altre esperienze della vita e deve rappresentare un forte e consapevole impegno educativo da parte dei genitori.

Spesso abbiamo pensato con timore e senso di impotenza: “E se fosse uno dei nostri figli ad affrontare la perdita di una persona cara?”. I bambini hanno bisogno di qualcuno per affrontare il dolore causato da una perdita, esattamente come gli adulti; ma spesso consideriamo che l’esperienza del lutto sia legata esclusivamente alla morte. Non è così, l’esperienza della perdita è nella storia fisiologica e naturale di ciascuno di noi, provoca un’emozione così profonda da renderla spaventosa: il bambino molto piccolo inizia il suo percorso di individuazione e costruzione del Sé proprio a partire dalla separazione dalla madre, avventura che porta con sé le più grandi angosce (l’abbandono, l’allontanamento, la perdita della sicurezza) che il bambino vive.

Anche la nascita di un fratello può rappresentare un lutto, in quanto comporta un vissuto di perdita dell’amore esclusivo della madre e dei genitori. Un’ulteriore esperienza di lutto è legata all’adolescenza: perdita del corpo e del ruolo infantili, dei genitori del bambino piccolo ed in generale abbandono dell’infanzia. Ma vi sono purtroppo anche i lutti traumatici, perdita di qualcuno che si amava profondamente: un genitore, un nonno (oggi così presenti nella vita affettiva dei bambini), un amico. Va considerata anche la separazione dei genitori, esperienza nella quale il bambino può sperimentare l’assenza di uno dei genitori o la perdita della famiglia così come l’aveva vissuta fino a quel momento.

Ciò che il bambino è in grado di capire della morte, dipende dalla sua età, dalle sue caratteristiche personali e dalla relazione che aveva con la persona. E’ importante inoltre considerare l’esperienza che i bambini hanno della morte: un tempo la morte era una della tappe della vita, vissuta e preparata in famiglia attraverso l’assistenza agli anziani o ai malati. Oggi l’esperienza della morte è influenzata dalle esperienze televisive: un individuo che passi circa tre ore al giorno davanti alla tv, nel periodo che va dalla prima infanzia (2-3 anni) alla pubertà (14 anni) può in media aver visto 12.000 omicidi e 100.000 episodi di aggressione. La morte dunque è soprattutto un’esperienza virtuale e come tale l’investimento emotivo è in qualche modo attenuato.

Quando invece accade nella realtà come può reagire il bambino? Molti studi hanno evidenziato che esiste una stadialità nella capacità di comprendere la morte: i bambini più piccoli si sentono generalmente molto confusi e non comprendono del tutto ciò che sta accadendo. I bambini tra i 3 ed i 5 anni vedono la morte come una partenza momentanea e pensano che la persona morta tornerà, secondo una modalità “magica” che appartiene allo stadio del loro pensiero, quando la morte li interessa da vicino, vivono intensamente la perdita perché sono già in grado di capire che cosa sia il dolore dato dal distacco. I bambini tra i 7 e gli 8 anni hanno un’idea più realistica della morte, vedono la morte come la fine delle funzioni vitali, uno dei problemi maggiori è dato dal fatto che non sono in grado di capire e identificare le loro emozioni. Dagli 11 anni in su sono in grado di comprendere la morte in termini adulti, vanno pertanto trattati come tali, ricordando che spesso hanno difficoltà a gestire ed esprimere le proprie emozioni.

Le modalità con le quale i bambini esprimono il loro dolore dipendono da molti fattori personali e socio – culturali: la risposta al lutto dipende dalla mente (interrogarsi sul perché ed arrivare ad una risposta o all’accettazione che sia accaduto), dal cuore e dai sentimenti (lo shock, l’incredulità, il senso di vuoto e di abbandono, la paura che tutto non sia più come prima, la tristezza, la rabbia, la depressione) ed infine dipende anche dai comportamenti (come manifestare le emozioni, come ricostruire la quotidianità, come ripartire per una nuova fase della vita). Atteggiamenti che il bambino manifesta possono essere la disperazione, alcuni disturbi psicosomatici e del sonno, la regressione verso comportamenti più infantili, la rabbia e l’aggressività, il mutismo, l’isolamento, in generale l’incapacità di dare un nome a ciò che sta provando.

Cosa deve fare l’adulto? Deve accompagnare l’elaborazione del lutto, cioè essere pronto ad affrontare insieme con il bambino un percorso nel quale c’è una variabile temporale: la sofferenza ha bisogno di tempo ed ha bisogno di contenimento, in manie. E’ centrale facilitare la comunicazione: supportare il bambino nel portare alla luce i sentimenti negativi e dargli la possibilità di esprimerli, senza spingerlo verso la chiusura o i sensi di colpa. E’ fondamentale impostare una comunicazione chiara, condivisa, il più possibile vera: il bambino ha bisogno di sentire che l’adulto gli sta dicendo la verità, che si può fidare ed ha bisogno di veder una congruenza tra le parole ed i comportamenti: ciò che maggiormente lo segna sarà il nostro esempio, anche nello sforzo di spiegare come ci si sente, in modo da non cadere nell’isolamento emotivo. Anche la condivisione di alcuni riti funebri può avere lo scopo di facilitare la condivisione: “Io sto male ma tutti i miei cari stanno male come me, insieme a me”.

Spesso si discute sulla partecipazione dei bambini ai funerali: il rito collettivo ha lo scopo di socializzare e condividere il dolore, segna in maniera concreta il passaggio dalla vita alla morte e non lascia dubbi sulla possibilità magica che si possa tornare dalla morte. Per chi è credente segna il passaggio al Paradiso, che per alcuni bambini rappresenta una risposta più che confortante.

Dal punto di vista educativo per i bambini sono molto utili le risorse della “narrativa psicologicamente orientata”, consiglio a questo proposito per gli educatori che potrebbero dover affrontare il tema il testo “Perché non ci sei più?” Edizioni Erickson.

Dott.ssa Lucilla Zordanazzo
Pedagogista Clinico

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