
Obiettori israeliani raccontano la loro scelta
Giovedì 27 novembre, l’Aula Magna del Fermi ha fatto da cornice alla testimonianza di Ella e Iddo, obiettori di coscienza israeliani appartenenti al movimento Mesarvot.
Le classi quinte del Duca Degli Abruzzi hanno ascoltato il racconto di una realtà contrassegnata da una scelta importante, il rifiutare di prestare servizio militare nelle Forze Armate Israeliane.
Mesarvot, dall’ebraico “Noi rifiutiamo”, è una rete israeliana di attivisti a sostegno degli obiettori di coscienza (refusenikim). La loro decisione si fa atto politico e non resta silenziosa.
La leva militare, in Israele, è obbligatoria dai 18 anni. Tuttavia i giovani israeliani sono abituati all’idea di “guerra legittima” già da piccoli. L’educazione al dover combattere, come impegno verso il proprio popolo, è radicata nel profondo della società. Questo dovere di azione, cresce nella coscienza collettiva e arriva a contaminare le istituzioni, prima tra tutte la scuola. Non si parla solo di ideologie ma atti concreti a sostegno di un militarismo ingombrante.
Iddo ha raccontato di insegnanti-soldati coinvolti nell’istruzione statale, di come anche agli studenti più piccoli venga chiesto di sostenere emotivamente con dei doni i soldati, di come la propaganda sionista si sieda tra i banchi nelle classi.
La storia in Israele non è solo una materia scolastica, ma un fondamentale tassello identitario, insegnata con un forte approccio nazionalistico; Ella ha parlato della storia di David e Golia sottolineando come nelle scuole, la narrazione storica sia influenzata da una corrente sionista sempre più invadente.
L’insegnamento della storia è un vero e proprio strumento politico che alimenta una propaganda di guerra e odio andando a legittimare ogni intervento militare israeliano, che sia di difesa o di “attacco preventivo”.
Interessante è stata la riflessione sulla “Soluzione con il riconoscimento dei due Stati”. Iddo l’ha definita come una soluzione “comoda per l’Occidente” sebbene nasconda diverse complessità di realizzazione. La democrazia e la pace non si possono realizzare con il disegno di confini su una cartina. L’odio tra i due popoli è il risultato di una storia di convivenza travagliata, di occupazione, di supremazia, di privazione dei diritti umani.
Come può funzionare la diplomazia se ai tavoli per il dialogo non vengono considerate tutte le parti?
I due obiettori hanno ribadito più volte come possa essere decisiva la pressione internazionale e la consapevolezza di quello che sta succedendo al popolo palestinese. Il riconoscimento dello Stato Palestinese, (recentemente portato avanti da Paesi come la Francia, il Regno Unito, il Canada), è solo un primo tassello.
L’incontro si è concluso tra gli applausi e parole importanti, un vero e proprio monito che gli obiettori di coscienza hanno lanciato a noi ragazzi. La democrazia si fa, non si insegna.
Riprendendo ciò che Don Milani sosteneva, una democrazia che non si preoccupa di chi resta indietro, di chi non vota più, di chi non si sente rappresentato, tradisce se stessa prima ancora che i propri principi.
Bisogna costruire le condizioni perché tutti possano capire, discutere, partecipare e talvolta disubbidire.
Matilde Baldessin 5DU























