I recenti fatti di cronaca che riportano all’attenzione pubblica i fenomeni delle cosiddette baby-gang, composte da preadolescenti che si rendono protagonisti di risse, atti di devastazione e di bullismo, non hanno nemmeno risparmiato un fenomeno, in genere rimasto sommerso, che consiste nel bullismo femminile.
E’ su questo che intendo oggi soffermarmi perché nella mia lunga esperienza di formatrice mi sono anche occupata di alfabetizzazione emotiva alla scuola primaria, lavorando in parecchie quinte classi della provincia e della città di Treviso.
Durante questi interventi venivano affrontate le quattro emozioni naturali: paura, rabbia, tristezza e gioia.
I bambini e le bambine dovevano affidare alla scrittura su dei post-it gialli le loro impressioni, ricordi, descrizioni, narrazioni di emozioni significative provate nel tempo passato o in tempo reale, mentre stavamo proprio lavorando sull’argomento.
I post-it venivano consegnati a me che li leggevo in silenzio e chiedevo se potevo rileggerli a voce alta. Spesso i bambini non erano pronti a tale pubblicizzazione delle loro emozioni riservate, negavano quindi il permesso salvo dopo un po’ o il giorno dopo chiedermi di farlo.
In ogni classe nella quale ho lavorato, prima o poi, emergeva un fatto: qualche bambina confidava la sua sofferenza intrisa di tristezza per avere subito delle esclusioni dalle attività di gioco o di socialità da parte di alcune compagne, a volte da parte di un’amica particolarmente cara. Quasi sempre il fatto in un modo o nell’altro veniva alla luce, spesso attraverso le lacrime evidenti oppure la richiesta della rivelazione della scrittura del post-it.
Aggiungo semplicemente che all’interno di una situazione emotivamente molto forte e coinvolgente quasi sempre il momento subiva un’evoluzione positiva perché la consapevolezza della sofferenza dell’altra poteva ancora far attingere le ragazzine autrici dell’operazione di esclusione ad una dose sufficiente di pro-socialità empatica da riuscire a decentrarsi e a mettersi nei panni dell’altra.
Bullismo femminile. L’obiettivo è quello di intervenire precocemente su un fenomeno poco appariscente ma diffusissimo, a rischio di esplosione nell’età preadolescenziale in forme più organizzate e aggressive.
Sappiamo oggi che esiste un bullismo femminile che può manifestarsi molto precocemente, addirittura già a partire dalla scuola dell’infanzia, senz’altro alla scuola primaria, visto che l’ho verificato personalmente in una percentuale preoccupante. E’ più nascosto e subdolo di quello maschile. Consiste nel formare all’interno della classe in modo non esplicito una specie di “club” (spesso viene definito proprio così: influenza di qualche serie televisiva poco educativa?). Questo club tutto al femminile è capeggiato dalla “più ricercata e popolare”. Per essere accettata nel club bisogna sottostare alle regole di quella che viene definita dagli analisti del fenomeno “ape regina”. Tra queste regole c’è la richiesta di “escludere qualcuna”. Quasi sempre si tratta della più timida, o la più brava, o la più diligente, ecc. Spesso le privilegiate sottostanno a questa crudeltà per timore di essere escluse loro. Quando il fatto diventa evidente sono le prime a rendersi conto del male che hanno fatto alla compagna e vengono a chiedermi un post-it nel quale poter esprimere le scuse e il rammarico per l’azione compiuta. Spesso cala nell’aula un’atmosfera molto carica di significato, tutta impregnata di un silenzio veramente emozionante. I post-it a disposizione sul tavolo un po’ alla volta spariscono. Vengono utilizzati ed è come se nell’aria si tracciassero delle traiettorie incrociate di messaggi che vengono scambiati. Nessun moralismo viene esercitato: tutto passa attraverso le emozioni e le loro diverse sfumature e intensità.
Gli adulti. Ogni volta che ho verificato l’apparire di fatti del genere mi sono chiesta come mai docenti e genitori sembrano non conoscere questa vita “sottobanco”
Gli insegnanti qualche volta mi hanno confessato che avevano già subodorato il fatto ma magari non avevano ritenuto il caso di intervenire oppure non sapevano come fare se non usando “predicozzi”. Qualche volta erano ignari del tutto. E’ sempre stato allora salutare per la classe e per loro osservare queste dinamiche e spesso anche imparare le modalità dell’alfabetizzazione emotiva su cui qualche volta mi è stato chiesto un tutoraggio.
Mi stupiscono di più le madri perché secondo me accordi di questo tipo non passano sotto silenzio e telefonate o confabulazioni seguite da messaggini vanno intercettati soprattutto in un’età così delicata come il passaggio dall’infanzia alla preadolescenza.
Dott.ssa Cinzia Mion
Psicologa-Formatrice
Vice Presidente Centro Antiviolenza Telefono Rosa Treviso
Centro Antiviolenza Telefono Rosa di Treviso – O.D.V.
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