

Ilaria frequenta il Centro Food for Mind e con il suo disegno ha voluto esprimere quanto le complesse dinamiche che intercorrono tra sè e l’altro lascino un segno nel corpo che ne diventa il testimone involontario.
Preso in ostaggio il corpo finisce col restare prigioniero di emozioni e vissuti che, se opportunamente lavorati in terapia, possono contribuire a liberarlo.
“Tutti noi abbiamo vissuto delle situazioni che ci hanno cambiato e reso le persone che siamo oggi. È un valore aggiunto, non una vergogna”
L’opera presentata ha carattere intimo e personale perché è il tentativo, seppur difficile, di imprimere su carta un vissuto personale: una violenza. Da questo vissuto nascono i due temi centrali: la liberazione e la rinascita.
Volgendo lo sguardo verso il basso troviamo il primo tema: la liberazione. La figura ha iniziato il suo processo di trasformazione, si sta spogliando di tutti quei sentimenti che le sono rimasti addosso: giudizio, vergogna, senso di colpa, paura, disperazione, angoscia, tradimento. Sta provando a toglierseli di dosso e a ridurli a brandelli per essere finalmente libera.
Ho voluto rappresentare i sentimenti sottoforma di vesti a simboleggiare come li abbia sentiti addosso, appiccicati a sé stessa e a contatto con la sua pelle, l’organo più intimo ed esteso del corpo, come stanno appunto i vestiti. Le vesti sono di colore azzurro e marrone. Il marrone esprime la forza necessaria per liberarsi da questi pesi e blocchi interiori, invece l’azzurro rimanda alla pace e alla tranquillità che questa liberazione le donerebbe.
La nudità della donna, invece, vuole rappresentare la vulnerabilità che la violenza le ha lasciato. La carnagione della donna è stata lasciata appositamente bianca e grigia a testimonianza dell’immobilità nella vita che queste emozioni le provocano.
Qui entra in campo la parte centrale dell’opera, ovvero le mani, che conferiscono drammaticità al disegno: la mano destra è protesa verso l’osservatore, per richiamarlo a sé. È un tentativo di incontro, di un riavvicinamento con l’Altro per chiedere aiuto, per compiere questo atto di liberazione, seppur l’Altro abbia prodotto un trauma. La mano sinistra sorregge il viso perché troppo appesantito dai pensieri e, al contempo, copre gli occhi per non vedere l’osservatore, per non riflettere il suo sguardo nell’Altro. Un gioco contrapposto tra il richiamare, forse il perdono dell’osservatore con il gesto silenzioso della mano e il nascondersi per la paura di cosa potrebbe vedere negli occhi dell’Altro. Qui c’è un invito a riflettere: e se il primo vero perdono è quello che dovrebbe concedere a sé stessa? E se fossimo noi il peggior giudice di noi stesse? Motivo per cui nello sfondo sono rappresentati due occhi.
Sopra la donna c’è la mano in posizione di artiglio a simboleggiare che il potere di liberarsi da queste colpe non nostre, ma che ci vengono affibbiate in quanto donne, è in mano nostra: solo noi possiamo assolverci e provare a cambiare questa cultura tossica.
Nel palmo della mano aleggia l’araba fenice, portatrice del secondo tema: la rinascita. La rinascita intesa sia come riscatto dai dolori della vita sia come liberazione dall’opinione degli altri. Proprio come l’animale mitologico anche noi possiamo rinascere dalle ceneri dopo una morte dell’anima e del corpo e librarci in alto libere.
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