Quest’anno, forse più di altri anni, mi sono posta la domanda: può una persona atea o quanto meno non praticante dirsi di amare il Natale in maniera autentica?
Chi scrive appartiene sia alla categoria dei non praticanti che a quella dei cosiddetti “fanatici del Natale”: playlist a tema, addobbi, regali, pandori… Eppure, a ben vedere tutto ciò non avrebbe nulla a che fare con quello che la Chiesa cattolica chiama Natale, e per questo arriva puntuale ogni anno l’invito, da parte loro, a riscoprirne le origini autentiche – per quanto possa sembrare strano riscoprire le origini autentiche di una festa creata a tavolino sfruttando dei festeggiamenti pagani e arricchita nel corso dei secoli di elementi anch’essi rubati altrove.
Questo è solo uno dei tanti attacchi al Natale: l’idea che festeggiare un generico spirito di fratellanza e convivenza, adottare comportamenti “più buoni” nei confronti della categoria del prossimo più generica possibile e tesaurizzare rapporti familiari e amicali non siano sufficientemente Natale. Tanto è vero che i tentativi recenti di far adottare formule di auguri generiche (come aveva fatto la Commissione Europea qualche anno fa) per includere anche fedeli di altre religioni e atei erano finiti al centro della bufera. Perché certamente c’è anche l’attacco che viene proprio dagli atei e da chi professa diverse religioni: la smania di questa festa li mette all’angolo della società di Paesi cristiani, aumentando invece il senso di divisione, mentre la sua pervasività in nazioni che cristiane non sono lo rende spesso un tentativo maldestro di stare alla pari con “il resto del mondo”, creando anche nuove tradizioni insensate e un po’ grottesche – in Giappone, per esempio, è vissuto come una sorta di San Valentino.
L’attacco più consistente però è senz’altro quello all’esasperato circo consumistico che a partire dal secondo dopoguerra gli è stato spontaneamente cucito addosso. Se Babbo Natale ha fatto la sua prima comparsa già nel Seicento, il suo aspetto attuale si deve a una famosa rappresentazione della Coca Cola degli anni Trenta; di panettone, nella sua forma più embrionale, si parla invece in un manoscritto milanese del Quattrocento ma gli ingredienti che lo caratterizzano oggi vengono precisamente dal 1956 – e su questa falsariga potremmo andare avanti su tutti i simboli classici del Natale secolarizzato. Ma questa laicizzazione profonda e questa enorme attenzione mediatica avrebbero risvolti ancora più profondi e inquietanti. Per esempio da un lato ambientale: durante le feste natalizie si finisce col buttare nel cestino il 42% degli alimenti acquistati a fronte di una media annua del 5%, mentre le emissioni di gas serra nei giorni attorno al 25 dicembre in termini di viaggi, illuminazioni, regali e cibo rappresenta il 5,5% delle emissioni di un intero anno. Brutte notizie anche per chi crede almeno che i regali facciano “girare l’economia”: secondo alcuni studi gli spesso inutili regali di Natale polverizzano 25 milioni di dollari di risparmi privati che potrebbero essere meglio impiegati e inducono le persone a spendere denari che non hanno e dunque a indebitarsi. E che dire sul piano personale? Il confronto con le domande scomode dei parenti – o di una semplice autoanalisi tipica della fine di dicembre – induce a un confronto impietoso con il “sé ideale” tratteggiato dalla nostra società e dunque acuisce l’insoddisfazione personale, se non provoca veri e propri casi di depressione (o semplicemente di “Christmas Blues”). C’è poi chi una famiglia non ce l’ha, o chi ne è allontanato – recluso in ospedali, carceri, case di riposo – o chi trova nel contatto forzato con i familiari un’occasione di scontro. Non ci sono studi che attestino il vero e proprio falso mito dell’aumento di suicidi a Natale, ma è certo che le cattive abitudini natalizie – come il consumo esagerato di leccornie – o la carenza di personale sanitario nel periodo festivo facciano aumentare il rischio di morte. Tutto questo apparentemente getta nuove ombre sullo scintillio del Natale.
Torniamo dunque alla domanda in apertura: è possibile essere atei/non praticanti e amare il Natale? Può sembrare banale, ma probabilmente la via maestra è quella del giusto mezzo. Per quanto le pressioni sociali di questa festa possano essere alte, ha senso delineare un proprio modo di viverla che tenga conto delle proprie necessità personali – per esempio economiche – e delle proprie convinzioni etiche – per esempio ambientali. I regali e il tempo in compagnia devono produrre piacere, soddisfazione e pienezza: se non lo fanno non hanno senso. Le lucine, gli addobbi e le canzoni devono creare un senso generale di distensione e di allegria: se non lo fanno non ha senso usufruirne. Piuttosto, fare di tutto ciò un uso intelligente e trasformarlo in una vera e propria occasione per mettere in pratica il proprio spontaneo altruismo – perché di quello sì, c’è sempre bisogno.
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