Quando sono in città ho spesso un pensiero: ci sono troppi rumori. Mi manca la natura nella quale i pochi suoni presenti non disturbano, si amalgamano tra loro creando un’atmosfera che non stanca quanto la confusione imposta dalla realtà urbana. In città mi sento immerso in un mondo composto da indemoniati in gara fra loro a chi si fa sentire di più.
Clacson, voci, luci, insegne, motori, cantieri, colori, aerei… sembra che nessuno soffra di tanta confusione, ma è proprio così o è solo apparenza? Tutti parlano di ansia e stress, ma tutti sono impegnati a contribuire ad aumentarli. Un po’ come se fosse normale e anzi auspicabile contribuire alla confusione che la città ingigantisce senza alcun limite. Mi chiedo se si possa far qualcosa per ovviare a questo caos.
E se proponessimo nelle scuole una nuova disciplina, il silenzio? Imparare a rispettarlo, ad apprezzarlo e a mantenerlo potrebbero essere gli obiettivi didattici, un vantaggio anche per gli insegnanti. Il brusìo nelle aule è spesso insopportabile, ma la cosa che trovo preoccupante è che i ragazzi non lo percepiscano, non ne soffrano, ma al contrario pare che lo cerchino come fosse la normalità. Com’è normale la musica assordante nelle feste e in generale nei contesti di divertimento e di socializzazione. Ma non solo, ci sono ascensori con la musica e pure autobus e risponditori telefonici automatici con brani rock. La città educa alla confusione e all’accavallarsi di rumori in un turbinio che non è così dissimile dagli effetti delle droghe o dell’alcool di cui tanto si parla. Ci si inebria di confusione e ci si nasconde nella confusione, visto che il silenzio porta a osservarsi reciprocamente, togliendo i veli su realtà che non si vogliono manifestare, su se stessi e sugli altri.
Sarebbe interessante proporre delle lezioni di silenzio conducendo i partecipanti a rallentare fino a fermarsi e a stare appunto in silenzio, senza parlare. Gli allievi non solo scoprirebbero il piacere del rendere più lento il proprio stile di vita, ma più che altro imparerebbero a distinguere i suoni dalla confusione. Recupererebbero la capacità di cogliere le informazioni dall’ambiente circostante, di percepire i segnali delle persone e in ultima analisi di pensare senza fretta, poiché nella fretta si pensa poco e male e si decide ancora peggio…proprio come la città vuole che noi tutti facciamo. Ne guadagnerebbero i rapporti umani, troppo confusi e approssimativi, instabili e senza valore… un mondo distratto di persone distratte educate alla distrazione.
Alessandro Fort
Psicologo formatore, scrittore e docente
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