Non è mai solo un Disturbo del Comportamento Alimentare, è molto altro
In questa precisa riflessione Agnese mette in luce come il sintomo alimentare dia al soggetto che ne è portatore la possibilità illusoria di sfuggire all’angoscia legata al bisogno, mettendo se stesso alla mercè di una dipendenza alla quale disperatamente cerca di sottrarsi, tra rifiuto e necessità.
Di troppo amore credo si possa morire e far morire.
Dicono che i DCA si sviluppino per una grande “fame d’amore”, io dico che un DCA arrivi lì dove c’è amore male trasmesso.
Credo che un DCA nasca dall’incapacità di donare amore nel modo e nei tempi in cui ha bisogno di riceverlo la persona cui è indirizzato; nasce dalla mancanza di uno stesso linguaggio con cui condividerlo; nasce dall’intraducibilità di due lingue diverse che genera incomprensione e distanza.
La richiesta profonda di essere amati, dunque, resta insoddisfatta, sospesa, uno sperone affacciato su una voragine e l’amore donato viene invece recepito come “troppo amore”, presenza invadente, controllo, a lungo andare oppressione e senso di soffocamento.
È in questo contesto che il DCA si introduce come una possibilità di salvezza, ribellione, aria non contaminata, l’unico modo trovato per arginare, fare piccolo, contenere qualcosa che dilaga, fuori controllo, dentro e intorno a te.
Il modo in cui siamo stati amati è il modo d’amare che abbiamo imparato a riconoscere e che poi inconsciamente riutilizzeremo nei nostri rapporti.
Con molta probabilità, nel futuro, accetteremo situazioni che ci sembreranno familiari, in cui faremo di tutto per farci amare come vorremmo.
Un DCA non è MAI solo un disturbo del comportamento alimentare, è molto altro.
Il DCA è solo la scorza dura esterna, che tenta di proteggerci e invece continua ad ingannarci perché ci fa credere che la vita sia quello, invece la vita è altrove.
Dietro un DCA c’è un mondo, che vale la pena scoprire, che vale la pena smantellare strato dopo strato, entrando in profondità, per il quale vale la pena mettersi in viaggio.
Un’immensità che vale la pena sondare, per la quale vale la pena soffrire, per poi guardarsi dentro e finalmente riconoscersi, nudi; finalmente riemergere nuovi, vivi.
Ascoltare questa parte di noi può essere un’opportunità da cogliere per far emergere la nostra autenticità. Una volta andati oltre potremmo perfino voltarci indietro ed essergli grati.
Agnese
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