Nel campo delle attività di tipo educativo, vediamo sempre più proposti i percorsi di psicomotricità. Che sia al mattino a scuola o nei pomeriggi in contesti privati, che lo consigli un amico o una pediatra, sempre più spesso alle famiglie si presenta questa possibilità, che si nota se non altro per un nome complicato. Ma cos’è quindi la psicomotricità?
La psicomotricità è una pratica di gioco corporeo spontaneo, in cui si utilizzano spazi e oggetti essenziali ed evocativi. Viene svolta in gruppo e condotta da un professionista. Un’attività all’apparenza molto semplice e simile a una lunga ricreazione, ma che misteriosamente riesce a coinvolgere tutti senza esclusioni e a raggiungere ciascuno in modo particolare e intimo.
Proverò a svelare alcuni segreti di questo effetto magico descrivendo alcuni componenti fondamentali della pratica psicomotoria.
Primo fra tutti, il gioco. Giocando si entra nella dimensione simbolica, quella in cui qualcosa sta al posto di qualcos’altro e tutto diventa possibile. Nel gioco, quattro cubetti formano un castello, un tessuto rosso il mantello e un bastone in mano uno scettro, così che posso governare il mondo intero. Posso uccidere un mostro con una spada laser e sotterrarlo tra i cuscini per sentirmi più sicuro. Posso anche guardar correre un pallone come se fosse il mio cagnolino o sentirmi avvolto da una coperta morbida come fosse l’abbraccio della mia mamma. Il limite è la fantasia, considerando le caratteristiche evocative degli oggetti della psicomotricità, nella loro essenzialità simbolica. Ciò che viene vissuto attraverso il gioco, dato che rappresenta simbolicamente qualcosa che esiste, ha degli effetti sul vissuto del mondo reale, in particolare permette di aumentare le strade alternative e trovare così nuove possibilità di evolvere. È proprio questo il meccanismo trasformativo utilizzato dalla pratica psicomotoria.
Altro mezzo fondamentale è il corpo. Il gioco corporeo mette in azione quell’unità che nella psicomotricità si è provato a rappresentare già nel nome: psico e motricità sono i due componenti che la nostra cultura dualista ci porta a separare e che invece sono fusi nel nostro essere. Un movimento, un’emozione, un pensiero, una postura o una decisione non sono elementi disgiunti ma anzi interdipendenti. La concentrazione sul linguaggio corporeo e sui gesti rende più densa, sincera e significativa la comunicazione e di conseguenza la relazione. In sala non è necessario parlare, e contano anzi gli sguardi, le posizioni, il tono muscolare, le azioni. Con questa premessa, il gruppo diventa occasione di sperimentare in modo più immediato e autentico le dinamiche relazionali e sociali e di apprendere così, senza lezioni, le regole del vivere insieme.
Infine, vorrei porre l’accento sul fatto che il metodo psicomotorio si configura come uno spazio e un tempo a misura del singolo bambino. A volte capita che una famiglia si interessi all’attività per un’esigenza specifica, o che una classe abbia necessità di intervento per una certa problematica, ma sarà poi ogni bambino e bambina a esprimere nel gioco una tematica nei tempi e nei modi che vorrà. Nell’attività psicomotoria, la sicurezza che permette di esprimersi liberamente non è solo quella legata a spigoli, altezze o regole, ma anche un tempo senza accelerazioni, uno spazio di autonomia, e la piena disponibilità dell’adulto professionista che si presta al gioco in modo accogliente e rispettoso, com-prendendo e contenendo le esigenze di ciascuno. Lo/la psicomotricista fa un lavoro di ricerca di senso, esplora i significati di quello che osserva e apre quelle già citate alternative e possibilità di evolvere. Questa professione di ambito socio-educativo necessita di preparazione e per questo, nonostante ci siano diverse scuole e metodologie di psicomotricità vista anche la giovane storia di questa disciplina, è richiesto un percorso di formazione almeno triennale (da non confondere il percorso universitario dei terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, di campo sanitario).
In conclusione, quello che accade in sala di psicomotricità spesso appare da fuori come misterioso e a tratti magico, e quando descritto non sembra altro che una semplice ora di gioco senza troppe pretese, ma in sostanza ha il vantaggio di proporsi come un’attività piacevole e adatta a tutti, che può sostenere la maturazione di bambine e bambini e dare possibilità a ogni individuo di diventare ciò che è veramente.
Irene Brusadin
psicologa e psicomotricista relazionale Accamamam
www.ideasociale.org
psicomotricita@ideasociale.org
BIBLIOGRAFIA
Galimberti, U. (1983) Il corpo. Milano: Feltrinelli Editore.
Lapierre, A.; Lapierre, A. (1996) L’adulto di fronte al bambino. Roma: Armando.
Winnicott, D. W. (1971) Gioco e realtà. Roma: Armando.
Bettini, L. (2017) Il linguaggio simbolico in psicomotricità relazionale. Trento: Edizioni Erickson.