Villa Pola di Barcon

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Tra cartografie, cronache e demolizione

Le fonti cartografiche che ci vengono in aiuto nel fornire un’inquadratura tutto sommato veritiera della ex Villa Pola di Barcon, sono prima di tutto la cartina del settembre 1637, noverata all’archivio di Stato di Venezia, precisamente nei Provveditori Sopra Beni Comunali, busta 110, disegno 8 e 15.

Dalla visuale della testata anteriore della casa dominicale sorprende la contrapposizione cartografica presente in alcune testimonianze (exemplum ut afferam la terza immagine rispetto alle prime due immagini). Difatti, allo stato dell’arte illo tempore, venne inquadrata una residenza prospettata su una bipartizione di facciata sebbene si riteneva che essa avesse tre piani. Il Crico, nel “Viaggetto Pittorico da Venezia a Possagno” nonché nelle “Lettere sulle belle arti trevigiani”, descrisse una villa a quattro piani: un alone di mistero aggiuntivo venne a crearsi pertanto dall’arciprete di fossa-lunga. Inoltre, a servire da beneficio per la chiarificazione sulla composizione edificatoria della casa dominicale, l’arciprete Crico afferma:

“Se Vostra Eccellenza raccoglierà alquanto a sé l’occhio, il quale avidamente spazia da lungi, vedrà il palagio Pola lungi due miglia che siede alteramente nelle praterie di Barcon, palagio, ch’è forse il capo lavoro dell’architetto Giorgio Massari, e d’un quadrato regolare sorprendente, cioè di piedi 120 di larghezza (indicativamente si parla di 41,72 m ciascun lato, nda) per ogni faccia e sotto un solo coperto. Tutto vi spira grandezza per entro, e la sala superiore, ch’è a croce greca, coperta in ciascun ramo da una gran volta, e da bella cupola in mezzo, vuol dirsi piuttosto un tempio bellissimo di quello di una sala”

La dichiarazione del Crico venne ad avallare le attestazioni disposte dalle cartografie del disegnatore Angelo Prati secondo cui esistesse un palazzo, con una certa quota metrologica ai lati, e che sul tetto ci fosse una cupola acroteriale con banderuola segnavento. La congettura invece che rimase inevasa fu quella sulla certezza dell’esistenza di un quarto piano rispetto ai tre piani prospettati dai previ carteggi. Francesco Scipione Fapanni si spinse a tassellare ancor più un quadro rimasto purtroppo nebuloso e non compreso in toto affermando che:

“Il palazzo aveva quattro facciate con a fronte quattro stradoni. Il soffitto della scala era dipinto a fresco da G.B. Canal (…) Fu demolito circa l’anno 1858 (…) Il palazzo di Barcon aveva 12 appartamenti da tre camere l’uno nei quattro lati: grande sala nel primo e nel secondo piano: altra sala nell’ultimo piano. Sulla cima del grandioso fabbricato v’era la bandiera, che segnava la direzione dei venti”

All’interno dello spazio delle pertinenze dei Pola giaceva un’ampia distesa broliva con giardino che veniva a essere il biglietto di ingresso per i visitatori e per i forestieri. La demarcazione della casa dominicale constava nella sezione settentrionale di una lunga cortina muraria, pur mantenendo i quattro ingressi che figuravano localizzati ai margini dell’incrocicchiamento dei stradoni, e nella sezione meridionali di una progressione di simil-palizzate. Nelle cartine del Tasca si rileva la presenza di una gora derivata dalla diversione della Brentella di Pederobba che irrigava il patrimonio arboreo dei Castropolae.

La villa venne abbattuta per volontà della consorte Maria Rubini, vedova del Carlo Flantini, questo industriale vetrario di Murano e socio delle Fabbriche Unite di canne di vetro e smalti, all’anno 1861. Il corrispondente Alteniero degli Azzoni Avogadro intervistò il vecchio del paese per venire edotto dell’opera turpe di distruzione barbarica della villa: egli rispose che “suo papà Cavarzan Angelo nato il 15 marzo 1844, quando aveva 17 anni, partecipò alla demolizione della villa che avvenne così nel 1861”. Ricorrono in nostro aiuto alcune spiegazioni al caso di specie che anche in altre casistiche analoghe gli storici si sono avvalsi nell’atto di chiarificare la demolizione di vetuste residenze dominicali.

Nel caso di Villa Pola, sfortuna vuole che la vedova Rubini aveva ereditato una villa dai Pola, e prima il marito Flantini, in stato di ammaloramento perché i Pola vissero tra Treviso e Torino, non più in villa. Inoltre, la Rubini sperava di ricavare denaro dalla vendita di inerti nonché dagli oggetti della villa. Purtroppo nella villa venne recarsi nocumento anche al momento dell’allestimento e dell’utilizzazione di essa, incluse le barchesse, come ospedale militare da campo per le truppe austro-ungariche. Oltre a ciò, ulteriori moventi ravvisati in sede euristica, ma con un ampio spettro generale di casi, furono l’eccessivo costo di mantenimento di ville ingombranti e le gravose spese a carico dei proprietari sulla tassazione erariale.

La prima e la seconda immagine sono cartografie dell’illustratore Angelo Prati del 1763 (uno è un particolare più ristretto della campagna fondiaria polese l’altro è un particolare più ingrandito della Villa Pola).

La terza immagine è la mappa illustrativa della campagna fondiaria polese del 1637 dell’Archivio di Stato di Venezia, Provveditore sopra beni comunali, busta 110, disegno 8 e 15.

VEDELAGO STORICA

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