Mostro. Così si riferiranno a me…

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L’elaborato premiato a “Voci per il cambiamento”

Il 20 dicembre, all’Istituto Galilei, si sono tenute le premiazioni del concorso letterario “Voci per il cambiamento” con il quale gli studenti del liceo hanno potuto creare un elaborato legato alla tematica della violenza sulle donne e all’importanza che assumono le parole collegate a tale piaga.

Di seguito il testo risultato vincitore nella sezione dedicata alle classi quinte.

Mostro.

Così si riferiranno a me, lo so. Ma d’altronde, quando la corda si spezza, non è forse inevitabile che qualcuno cada?

Stamattina, mentre fissavo quel maledetto sguardo di accusa nei suoi occhi, ho capito per la prima volta che non potevo più sopportarlo. Era lì, davanti a me, pronta a rinfacciarmi ogni errore, come sempre. Pronta a ricordarmi, ancora una volta, che non ero abbastanza. Non capiva mai che tutto quello che facevo era per il nostro benessere, per noi. Per lei. Per il nostro futuro insieme. Le avevo chiesto di promettermi solo una cosa in cambio della mia benevolenza: ascoltarmi, fidarsi di me, obbedire, se necessario.

Non pretendevo molto. In fondo, io le avevo dato tutto. L’avevo tolta dalla sua misera vita, insegnandole a stare al mondo.

Avevo ascoltato i consigli di mio padre. Lui la definiva troppo ribelle, una “donna con le palle”. Per questo mi disse di tagliargliele. Mi ricordò che un usignolo messo in gabbia, prima o poi, smetterà di chiedere aiuto cinguettando. Tenendo a mente queste parole, l’avevo allontanata dalle sue amiche, talmente invidiose da consigliarle di lasciarmi, di abbandonarmi. Le avevo detto di non dare retta a sua madre, così sola da non volere che sua figlia uscisse con me affinché lei le tenesse compagnia. Le avevo detto di non scrivere più a quello che lei chiamava migliore amico, spiegandole perfino che l’amicizia tra uomo e donna non esiste e che, alla prima occasione, l’avrebbe portata a letto.

Senza di me sarebbe nessuno, eppure continuava a comportarsi come se fosse lei la vittima, come se fossi io il mostro.

Il mio mondo ha cominciato a crollare quando ha iniziato a ribellarsi, a non ascoltarmi più. Quando ha iniziato a infrangere l’unica regola che le avevo dato. Prima con silenzi punitivi, poi con quelle risposte secche che non osava mai completare. Le dicevo di non permettersi di parlarmi in quel modo, come se non le importasse nulla, come se io fossi nulla.

Ma lei insisteva sempre più spesso, sfidando la mia pazienza, tirando quella corda all’impazzata.

Oggi, però, ha superato il limite. Si è messa a urlare, a piangere, a dirmi che non mi amava più, che non sopportava nemmeno la mia presenza. Come poteva dirlo? Dopo tutto quello che avevo fatto per lei. Dopo tutte le opportunità di una vita migliore che le avevo offerto. Dopo tutte le volte che avevo chiuso un occhio davanti alle sue debolezze, i suoi fallimenti.

Ho fatto ciò che mi hanno insegnato, ciò che dovevo.

È successo in fretta, è stato tutto così rapido, così… giusto. Sapevo che era l’unica strada. Le sue urla si trasformarono in stupidi piagnucolii, in sospiri. Poi, all’improvviso, il suo respiro si fermò, lasciando un silenzio che non sentivo da anni.

Adesso è lì per terra, immobile, e per la prima volta, non mi parla più. I suoi occhi di ghiaccio non mi guardano più con disprezzo. Ora lei non mi accusa, non mi provoca, non mi sfida.

Ho ripreso il controllo, ciò che, in quanto uomo, mi spettava. Fin dall’inizio.

Ho ristabilito l’ordine, l’equilibrio delle cose. Lei mi apparteneva e non poteva, da un giorno all’altro, distruggere quello che avevamo costruito. Quello che io mi ero impegnato a costruire.

La stanza ora è fredda. Anche se le foto di lei bambina sono appese alla parete, i suoi vestiti indossati ieri appoggiati sulla sedia, e il materasso ha ancora disegnata la sua sagoma dormiente, di lei non rimane nulla. Solo un corpo.

Il vuoto in questa stanza si riflette dentro di me con una strana calma. Forse è la sensazione di giustizia nel mettere a tacere quel caos che lei aveva portato nella mia vita.

So che verranno a cercarmi, ma loro non capiscono. Non capiscono che ora, finalmente, tutto tace. Che mentre si riferiranno a me dandomi del mostro, io non tremerò.

Perché in fondo, che c’è di più umano dell’amore?

M. E. C., classe quinta

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