Un bambino ha diritto al giusto tempo per imparare

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Il libro di Qohelet, un testo inserito nella Bibbia tra i libri sapienziali, ricorda all’uomo che per ogni attività sotto il sole c’è il suo tempo. Un tempo per nascere, un tempo per morire, uno per ridere, uno per piangere, uno per andare, uno per tornare, uno per stare svegli ed uno per dormine, uno per andare a scuola ed uno per rimanersene a casa, aggiungiamo noi.

Il tempo per stare a casa è molto importante per un bambino. La sua casa è il suo ambiente che gli consente di coltivare la protezione, la sua intimità, il suo spazio individuale esclusivo. Un tempo/spazio dove sentire di poter esprimere sé stesso senza condizionamenti sociali, libero da sovrastrutture, dove poter coltivare i propri affetti e avere anche delle precise indicazioni che lo aiuteranno nella formazione del suo carattere e del significato sul suo stare al mondo. Il tempo a casa significa per un bambino soprattutto il tempo per stare con i genitori, con le figure di riferimento fondamentali, con la mamma, il papà, i fratelli. La tendenza degli ultimi anni da parte delle famiglie, è quella di delegare moltissimo alle strutture educative la crescita e l’educazione dei propri figli. I nidi accolgono i bambini a partire dalle 7 e 30 del mattino fino alle 18,30 – 19,00. Molte volte mi sono chiesta se questi orari sono davvero necessari alla maggior parte delle famiglie. Ci sono effettivamente alcuni casi in cui il genitore, non avendo supporto da parte di un partner o della famiglia d’origine, è costretto a lasciare il suo bambino per tante ore fuori casa, ma non si tratta certo della totalità dei casi in cui il bambino viene lasciato a scuola anche per 10 ore.

Spesso la famiglia sottovaluta la componente tempo da dedicare ai propri figli, vengono strutturate le giornate in maniera automatica in funzione degli impegni adulti e i bambini vengono affidati alle strutture senza troppe riflessioni sul significato che ciò comporta per il loro sviluppo.

Un bambino piccolo non può stare 8 – 10 ore al nido, lontano dai suoi genitori, eppure questo è un trend ascendente. I nidi che garantiscono un tempo molto lungo sono i preferiti: magari la mamma dopo il lavoro trova il tempo per andare a fare la spesa; dal parrucchiere; in palestra e via dicendo: tanto sa che il bambino è in buone mani.

Anche per i bambini più grandi ci sarebbe qualcosa da dire: gli anticipi scolastici e la dilatazione del tempo a scuola. Un numero molto alto di ore da trascorrere a scuola, senza poter avere un contatto con le proprie figure parentali ma anche con il proprio ambiente, non è una delle scelte migliori per l’educazione di un bambino. Mi sembra molto grave che non si possa pensare di creare un welfare dove venga tenuto in considerazione il tempo e il bisogno del bambino, supportando la famiglia affinché possa avere, almeno nei primi anni di vita del bambino, una risposta adeguata alla sua crescita.

E’ inutile riferirsi ai paesi nordici, dove l’attenzione alla prima infanzia è reale e lo Stato garantisce un supporto concreto a madri e padri nei primi anni di vita del bambino, ma vorrei puntare l’attenzione su di alcune scelte fatte dai ministri in epoche recenti che non aiutano lo sviluppo della famiglia e il sostegno alla genitorialità.

Paradossalmente aumentare l’orario scolastico può essere visto come sostegno alla famiglia, si sa dove lasciare i figli, ma i figli sono oggetti da lasciare o non piuttosto soggetti da accompagnare in un percorso di crescita globale e consapevole?

L’anticipo voluto da due ministri donne –  prima Moratti poi Gelmini – risponde a esigenze tutt’altro che “materne”, rispettose delle esigenze di sviluppo della prima infanzia, ma alla logica maschile del risparmio.

Ogni bambino sollecitato a diventare adulto prima del tempo, saltando classi o impedendogli di giocare con i suoi tempi, quasi sempre ha poi difficoltà di relazione o di apprendimento. Ci possono essere bambini con vivace sviluppo intellettuale, pronti a entrare nei ritmi di lavoro di una prima classe della Primaria, ma non è così per tutti e l’età anagrafica non dà alcuna indicazione circa i punti d’arrivo di un bambino, anzi è spesso ingannevole agli occhi di adulti ambiziosi o semplicemente superficiali nelle loro valutazioni.

I bambini al Nido o alla Scuola dell’Infanzia dovrebbero avere tante possibilità di scelta e non essere spinti in direzioni volute dagli adulti – genitori o educatrici – tanto per bruciare le tappe. Ogni bambino ha il suo ciclo di attenzione e di lavoro, interessi propri e curiosità connessi con legami profondi che, per quanto si voglia indagare, non è dato sapere. Saperlo rispettare e saper dialogare tra adulti è il minimo che si possa fare, nella piena consapevolezza che il ruolo della famiglia è prioritario e irrinunciabile per la sana crescita di un bambino.

Dott.ssa Paola Cosolo Marangon
Direttore Scientifico

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